Premierato, Borghi (IV): “Siamo contrari, questa riforma è un rattoppo”.

Riportiamo il testo stenografico dell’intervento del capogruppo di Italia Viva nel dibattito di ieri, in Aula al Senato, sulla riforma costituzionale riguardante l’introduzione della elezione diretta del Presidente del Consiglio.

Signor Presidente, il Gruppo parlamentare Italia Viva ha chiarito, già in sede di discussione generale, che per noi discutere di elezione diretta del Capo del Governo non era né un’eresia, né un atto di sovvertimento democratico.

Abbiamo portato in quest’Aula le riflessioni riformiste di pensatori come Maurice Duverger, Mario Segni, Cesare Salvi, tra gli altri, e le conclusioni della Commissione bicamerale presieduta da Massimo D’Alema, che, nel 1997-1998, immaginò l’introduzione in Italia del premierato. 

Ci siamo approcciati a questa discussione avendo ancora nelle orecchie e nella memoria, qualcuno penso anche nel cuore, le parole che ci rivolse il 22 aprile 2013 Giorgio Napolitano, al momento della sua rielezione, che cito testualmente: «A esigenze fondate e domande pressanti di riforma delle istituzioni e di rinnovamento della politica e dei partiti (…) hanno finito per prevalere contrapposizioni, lentezze, esitazioni circa le scelte da compiere, calcoli di convenienza, tatticismi e strumentalismi». E ancora il presidente Napolitano ci ricordava – e lo cito sempre testualmente – che «non si può più, in nessun campo, sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui hanno bisogno improrogabile per sopravvivere e progredire la democrazia e la società italiana».

È con questo spirito che noi siamo entrati in questo dibattito: scevri da pregiudizi, in maniera laica, con la volontà di contribuire con il nostro pensiero e apportare una visione. Abbiamo presentato, a differenza di altre forze dell’opposizione, un nostro disegno di legge organico, abbiamo avanzato proposte e formulato emendamenti, ma va detto senza infingimenti che il risultato finale è un prodotto deludente, perché, al netto anche di alcuni atteggiamenti (penso a quello della Ministra che in alcune parti hanno fatto rimpiangere un Chinaglia d’annata nei confronti del suo allenatore Valcareggi nel 1974), i nodi sono ancora tutti sul tavolo: il nodo del bicameralismo perfetto, che non avete sciolto; il nodo del ruolo fra Stato e Regioni, che non avete sciolto; il nodo della legge elettorale, che non avete sciolto; il nodo del Premier imprigionato dalla ragnatela del diritto di fronda, che avete creato.

Insomma, il testo è confuso, disorganico, frutto di compromessi al ribasso tutti interni alla maggioranza e figlio di un clima distante anni luce dallo spirito costituente che dovrebbe informare la riforma della nostra Carta fondamentale. Insomma, per dirla con una battuta, siamo entrati qui dentro volendo il cittadino arbitro – come ci insegnava Roberto Ruffilli – e rischiamo, con questo testo, di ritrovarci con un cittadino suddito. Per questi motivi, noi non vogliamo concorrere al voto di un errore di questa natura.

Si dice che la riforma è una risposta alla crisi della politica. Accettiamo la riflessione, ma entriamo nel merito e cerchiamo di comprendere. Scoppola ci diceva che la nostra è una Repubblica dei partiti, che è la specificità di un sistema che era giocato sui partiti e attorno ai partiti snodava il funzionamento della nostra democrazia. Abbiamo attraversato diverse fasi storiche: dalla Prima Repubblica, rigida nella società e bloccata nella democrazia, alla Seconda Repubblica, che – come ha detto Bauman – era una società e una democrazia liquida, vacillante, incerta e fluida, fino ad arrivare a quella che è stata definita la Terza Repubblica, con l’avvento del MoVimento 5 Stelle, una funzione gassosa, volatile, cangiante e aeriforme, che ha portato all’oggi, all’evaporazione delle forme della politica, che lascia spazio al vuoto. Non è un caso che, dentro questo mare di cultura politica che si ritrae, emergano antichi ancoraggi da destra e da sinistra.

La domanda a cui dovremmo quindi rispondere è se siamo davvero davanti al rischio della fine della natura identitaria, strutturale e ontologica della nostra democrazia fondata sui partiti: e, se la fine della democrazia dei partiti è arrivata, da cosa dev’essere sostituita? Da una politica in campagna elettorale permanente? Da leader che si fanno influencer? Da una ipercomunicazione che viene fatta per colmare l’assenza del pensiero? È per questo, cari colleghi, che noi abbiamo detto che è centrale la legge elettorale. Dobbiamo dire come intendiamo governare il vuoto e declinare la natura identitaria della nostra democrazia; e questa è una risposta che deve arrivare da un processo politico. Ecco l’errore che state compiendo: pensare di risolvere la crisi scaricando tutto sul dato funzionale (la riforma della Costituzione) ed istituzionale (l’elezione diretta del Premier).

In realtà, i processi politici non possono essere surrogati da geometrie istituzionali e le regole non si possono sostituire alla sostanza del gioco politico. Il punto oggi è capire quali sono le forme della nostra politica, cosa vuol dire partecipazione popolare, quali sono i canali del coinvolgimento democratico, cosa significa far parte di un’associazione per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.

Cari colleghi, anche alla luce di quello che è accaduto domenica per la prima volta nella storia della nostra Repubblica, quando 53 italiani su 100 non si sono recati alle urne, non sentite anche voi il senso di vertigine che dà il vuoto che si crea tra il popolo e i suoi rappresentanti, laddove in mezzo non c’è più nulla? (Applausi).

Questo è il punto, che si risolve non con un ripristino revanscista e nostalgico di una pretesa età dell’oro che non tornerà più, ma neanche con un appalto fideistico a leadership personali. In realtà, il punto chiave è la ricomposizione fra popolo e Stato ed è questa la cosa che a noi preoccupa maggiormente; è questo il tema al quale ci vogliamo applicare con passione e determinazione, perché – lo sapete anche voi – questo testo non è la madre di tutte le riforme.

Questo è un rattoppo illusorio, che pretende di chiudere ideologicamente una transizione repubblicana. In realtà, la sfida ineludibile di un’elaborazione strategica e di un’adeguata architettura statuale esige altro dalla subcultura del presentismo, dalle battute via social e dalle riletture storiche. È una sfida che quindi esige altro rispetto a questo testo e molto probabilmente, signori del Governo e della maggioranza, esige altro anche rispetto a voi. (Applausi).