Scritta tra il 1818 e il 1819 e pubblicata nel 1826 la poesia ‘L’infinito’ di Leopardi (in realtà un ’idillio’ come lo titolò l’autore) compie 200 anni ma non li dimostra, potrebbe essere stata composta prima o dopo, non ha età perché esprime sentimenti, stati d’animo ed emozioni universali che appartengono al patrimonio dell’umanità.
Si tratta in effetti di una delle poesie più famose della letteratura italiana e mondiale.
Sui 15 endecasillabi sciolti di cui è composta la critica letteraria si è lungamente esercitata nell’esegesi e nella parafrasi del testo, soprattutto per facilitarne la comprensione più fedele delle intenzioni dell’autore agli studenti che dovevano impararla a memoria e recitarla.
Ma anche per coglierne in tutti i suoi aspetti più reconditi un filo conduttore, un significato, un messaggio che non smette di affascinare e commuovere chi si accinge o si esercita nella lettura.

In realtà occorrerebbe avvicinarsi al testo con pudore e stupore per rispetto alla interiorità soggettiva del poeta-filosofo, senza la pretesa di estrapolarne significati riduttivi o a volte banali.
Osservando il manoscritto conservato presso la Biblioteca nazionale di Napoli, se ne intuisce la stesura in un’unica soluzione, una sorta di trasposizione grafica di una riflessione intima e personale che il giovane Leopardi espresse come una rappresentazione ‘istantanea’ illuminata dal suo genio e dalla sua specialissima sensibilità. Si osserva inoltre che tra le altre correzioni visibili nel manoscritto, Leopardi – di suo pugno- cancellò a penna nella penultima riga della poesia la parola “immensità”(che invece è rimasta nella versione ufficiale) con “infinità”: forse un ripensamento, una limatura, la ricerca di un’espressione più coerente con l’interezza e lo sviluppo del testo.

Quasi un segno di ricerca della perfezione e di vocaboli adeguati ad esprimere e decodificare stati d’animo e sentimenti interiori ma comunicabili.
In genere le opere d’arte e gli artisti sono destinati a subire l’incomprensione della loro contemporaneità, sovente infatti i riconoscimenti e gli apprezzamenti sono postumi e giungono quando se ne riscopre l’intrinseco valore: così fu per il “giovane favoloso” , come l’ha definito nella trasposizione cinematografica della sua vita il regista Mario Martone, specie nel periodo della sua permanenza a Napoli, dove fu incompreso, deriso, persino dileggiato. Di lui e di questo “idillio” Bertrand Russell ebbe a scrivere: ”L’infinito esprime più di qualsiasi altra poesia il mio pensiero riguardo l’universo e le passioni… al punto che la considero la più bella espressione di ciò che dovrebbe essere il ‘credo’ di uno scienziato”.
Dotato di una intelligenza straordinaria e poliedrica ma soprattutto di una sensibilità dolente e raffinata, Leopardi conobbe una lunga malattia fin dalla giovane età che portò ad una graduale e inesorabile deformazione fisica ed oltre a questa una indicibile sofferenza interiore, un disagio che oggi chiameremmo emotivo e psicologico, infine le ristrettezze economiche nell’ultima parte della sua vita.

Eppure tutto ciò che potrebbe – agli occhi poco caritatevoli del suo e del nostro tempo – apparire una limitazione e un condizionamento interiore furono – insieme alle doti native e ad un patrimonio culturale frutto di letture, scritti, impegno, studio, approfondimento, la matrice generativa della sua genialità.
Al punto che il senso del limite e insieme lo sforzo di coglierne “l’andare oltre” (la siepe, l’orizzonte, la presente e viva stagione, lo sguardo immaginifico) sono a lungo stati interpretati come manifestazione di un pessimismo interiore che sovente è solo incompiutezza nello stato di grazia dell’estasi, ma suo desiderio e, insieme, amore smisurato per la vita.
Animo insoddisfatto per natura, perfezionista, depresso, solitario, incompreso, disadattato ed emarginato per superiore, inspiegabile dote nativa: segnali di un disagio interiore che se avesse curato come patologia o superato con le effimere lusinghe della vita (come oggi ci viene proposto) non ci avrebbe donato quel capolavoro di intensità emotiva e visione ineguagliata che è “L’infinito”.

Poesia che tutto contiene: il vicino e il lontano, il dentro e il fuori, il passato, il presente, il futuro. Una sorta di ricapitolazione di tutte le cose, come direbbe San Paolo: degli enigmi, dei turbamenti, delle sofferenze, dei desideri, delle gioie , dei dolori, delle speranze, degli abbandoni, delle similitudini, delle differenze, delle intuizioni, della natura umana e della tensione al suo superamento.
Un’allegoria complessa, unica e irripetibile che compendia l’immaginazione di un genio in un messaggio fortemente intimista che anticipa l’intuizione di Mozart quando scrisse, anni dopo, distinguendo la musica dagli spartiti…”tutto è stato composto ma non ancora trascritto”.

Una lettura quanto mai attuale se meditata e assaporata come un dono prezioso per aiutare a capire la vita, nostra e degli altri, in questo mondo precluso e insofferente che spesso fa rima con indifferente.