Pubblichiamo per gentile concessione dell’autore la prima parte dell’articolo che appare sul sito https://www.geopolitica.info/

In quel periodo il nostro sguardo era rivolto alle grandi fabbriche del Nord Italia, alle lotte operaie di fine anni ’60 e degli anni ’70; anche per me e per altri amici impegnati nel cattolicesimo sociale, quello era il movimento operaio. Pur non essendo organici alla storia della sinistra italiana, per molti di noi il fascino della fabbrica, dell’autogoverno operaio e di un modello solidale di società, fu molto forte. Nelle partecipate assemblee scolastiche, negli incontri nelle sezioni di partito o nei circoli di quartiere, la questione operaia era spesso al centro dei dibattiti. Il distinguo tra le libertà democratiche dell’Occidente e i regimi comunisti era netto, ma il tema del rapporto tra il capitale, l’impresa e i salariati; del coniugare democrazia e giustizia fu in quegli anni una delle questioni etiche trasversalmente più sentite nella politica. Per anni, pur nella certezza dell’importanza fondamentale dei principi di democrazia e libertà, propri delle comunità occidentali, si soffrì spesso il peso dell’equazione, libero mercato uguale sfruttamento. Per decenni, i programmi dei partiti comunisti del mondo occidentale (e non soltanto) e le Organizzazioni Sindacali ad essi collegate, indicarono nella socializzazione dei mezzi di produzione, la soluzione a cui approdare per superare questo nodo economico e sociale: un modello statalista centralizzato dell’economia che, secondo quell’area politica, avrebbe risolto il dilemma del superamento dei ruoli sociali imposti da una società capitalistica. Di contro, le socialdemocrazie nord europee, i partiti democratico-cristiani e le libere confederazioni sindacali (in Italia CISL e UIL), accettando l’economia di mercato, contrapposero modelli partecipativi (cogestione tedesca e scandinava) e negoziali (modello italiano).

Danzica pertanto fu una svolta epocale sul piano politico, sindacale e storico: le rivendicazioni del movimento spontaneo dei lavoratori dei cantieri navali (orari di lavoro, salario, qualifiche professionali, libertà di associazione e di assemblea) evidenziarono che la questione dello sfruttamento operaio era ben presente anche nelle aziende statali dei Paesi del socialismo reale nell’est europeo. Già nel 1976 ci furono dei movimenti di protesta (repressi attraverso la violenza) nei confronti dell’aumento generale dei prezzi imposti dal governo comunista polacco, ma non ebbero una risonanza diffusa in Occidente. L’agosto 1980 aprì invece una stagione nuova, che si rivelò determinante anche per il superamento stesso dei regimi comunisti oltre “cortina”. Lo sciopero del 14 agosto del 1980 ai cantieri Lenin fu la vittoria del movimento degli operai polacchi; un movimento che portò ad un’inversione dei rapporti di forza dentro la fabbrica polacca, dapprima con l’accordo sindacale del 31 agosto presso i cantieri e successivamente con la nascita ufficiale il 17 settembre 1980 di Solidarność, il primo sindacato libero in un Paese del blocco comunista; fatto senza precedenti e fino a quel momento impensabile.

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