Nessuno, ad oggi, sa quale sarà il futuro e la prospettiva politica dei 5 Stelle, il partito populista per eccellenza nel nostro sistema politico. Un partito schiettamente populista – da lì la sua fortuna elettorale – e demagogico, populista e qualunquista. Questa è stata, ed è, l’unica cifra politica di questo partito/movimento. E non avendo alcuna specifica cultura politica alle spalle, non avendo un serio programma di governo se non quello di accentuare i dogmi del populismo – cioè il peggio di quello che si può immaginare nella dialettica politica italiana – è di tutta evidenza che se questo partito vuole ancora esistere e resistere, e non si sa per quanto tempo, non può non ritornare al verbo populista. Che viene completato con la squallida ed incommentabile deriva giustizialista.
Ora, a fronte di un quadro abbastanza difficile da definire, diventa francamente curioso il tentativo del ‘campo largo’ o dell’ex campo largo di continuare ad individuare in un partito/movimento del genere l’alleato decisivo per costruire una alternativa politica e di governo rispetto alla coalizione di centro destra. Detto in altri termini, che cosa centra il movimento dei 5 Stelle con una cultura di governo e con una solida e robusta cultura democratica e costituzionale?
Ecco perché di fronte a questa domanda delle due l’una: o si ragiona con il metodo del pallottoliere, e allora qualsiasi apporto è importante e da non sottovalutare ai fini della “vittoria finale” contro un nemico irriducibile ed implacabile. (prospettiva abbastanza gettonata nell’attuale comportamento del ‘campo largo’ contro il centro destra di governo); oppure, e questa forse è la motivazione principale, c’è una profonda convergenza culturale, ideale e quindi politica con il partito/movimento dei 5 Stelle. Anche e soprattutto con l’attuale gestione di Conte che rappresenta in modo persino plastico il legame tra l’antica vocazione populista e demagogica, con l’intramontabile deriva trasformistica.
Questa resta, d’altronde, l’unico elemento di somiglianza con i partiti personali di Renzi e di Calenda in vista della costruzione del ‘pallottoliere’ da contrapporre all’avversario/nemico. Ed è proprio questo l’elemento centrale su cui vale la pena soffermarsi al di là e al di fuori del solo dato numerico. Ovvero, la convergenza culturale e valoriale con i 5 Stelle. Verrebbe da dire quasi a livello prepolitico. Perché questo era, e resta, il vero vulnus della coalizione del ‘campo largo’ o del ‘Fronte popolare” che dir si voglia. Vale a dire la convergenza politica e culturale, e quindi programmatica, con il populismo demagogico e qualunquista. Una convergenza che, come ovvio e persino scontato, esclude qualsiasi alleanza con partiti e movimenti centristi o riformisti o moderati che non siano dettati da ragioni di puro potere o dalla richiesta di una manciata di seggi parlamentari.
Ma questo può essere l’orizzonte, e la finalità, dei piccoli partiti personali che non hanno altra ambizione se non quella di mendicare qualche strapuntino di potere per sé e per i propri cari, con tanti saluti a qualsiasi ipotesi di costruire una vera e credibile alleanza politica e riconducibile ad un centro sinistra riformista e con una spiccata cultura di governo. Per queste ragioni, semplici ma essenziali, i leader del ‘campo largo’ saranno chiamati a dire una parola chiara e precisa sul profilo politico e culturale – si fa per dire – del partito/movimento dei 5 Stelle dopo questo clamoroso e alquanto grottesco dissidio tra Conte e Grillo.
Perché se dovesse prevalere, in ultimo, la tesi che c’è una perfetta convergenza politica, culturale e programmatica con i populisti dei 5 Stelle dovremmo anche prendere atto che la coalizione del ‘campo largo’ o del ‘Fronte popolare’ ha un profilo fortemente populista e demagogico. Tertium non datur.