5 Stelle, nessuna novità da Grillo e Conte.

È illusorio pensare che i 5 Stelle possano cambiare fino al punto di rinnegare se stessi. L’aut-aut del fondatore, con gli strascichi polemici ai danni di Conte, è il segno di un ricompattamento attorno al “messaggio” che dalle origini condensa il significato proprio del populismo pentastellato.

 

Giorgio Merlo

 

Dunque, e come da copione, per i 5 stelle siamo al punto daccapo. Detto fra di noi, non ci voleva uno scienziato o un politologo per saperlo sin dall’inizio. In questa breve nota ricordo solo tre aspetti, peraltro decisivi, che confermano che la natura e il profilo politico dei 5 Stelle non mutano perchè, semplicemente, non possono mutare.

 

Innanzitutto il partito (o il Movimento) è stato “fondato” da Beppe Grillo. Da un ex comico che però, almeno per questa formazione politica, è da tutti ritenuto un guru. Non a caso, lui stesso si è definito come un “elevato”. È del tutto naturale, stando anche al ruolo politico decisivo e determinante da lui avuto in tutti questi anni, compreso l’ultimo avallo al Governo Draghi, che proprio lui, “l’elevato”, sia il solo ed autentico punto di riferimento politico ed elettorale. Per tutti. Al di là dello statuto, del regolamento, del codice etico. E come l’esperienza di questi giorni ha platealmente, e in modo del tutto scontato, dimostrato e confermato.

 

In secondo luogo un partito come i 5 Stelle non può mutare natura, profilo, forma e sostanza politica dall’oggi al domani. Tranne il Pd di Zingaretti e soprattutto quello di Letta, tutti sanno che i 5 Stelle sono e restano un partito populista, demagogico, antipolitico, tendenzialmente antisistema ed esterno ed estraneo alla pratica democratica dei partiti tradizionali. E questo perchè, come tutti sanno, ma proprio tutti, la sua nascita è segnata dal verbo del suo fondatore, appunto Beppe Grillo. Se un partito abdica a tutto ciò che ha detto, scritto, praticato, urlato, giurato e predicato per anni, è del tutto ovvio che lascia per strada larga parte del suo elettorato. Altrochè “partito liberal moderato” come vagheggia l’avv. Conte o un partito che è disponibile a rivedere tutto il suo passato iniziando a scusarsi, ad esempio, del giustizialismo manettaro che l’ha contraddistinto da sempre. Perchè un conto sono i potenziali carrieristi romani. Altra cosa è l’elettorato e le pulsioni che, giustamente, attraversano quel pezzo di società e quindi di elettorato.

 

In ultimo il futuro e la prospettiva politica dei 5 Stelle. Al di là di chi continua a predicare la necessità, del tutto legittima, di dar vita ad un progetto politico antifascista, contro la destra, contro il rischio dittatura, contro la deriva illiberale e bla bla bla, di comune intesa con il partito di Grillo, è del tutto evidente che il movimento pentastellato – ideato, fondato, diretto e teleguidato dal suo fondatore Beppe Grillo – è destinato a rimanere il punto di riferimento politico per eccellenza del populismo nostrano. Ed è giusto che sia così. E chi si allea con quel partito o Movimento non può che condividere quell’approccio e quella cultura. Al di là della propaganda e delle parole d’ordine utili per convincere i creduloni, ma destinate a sbriciolarsi di fronte alla concreta realtà.

 

E ciò che capita da ormai molti mesi all’interno di 5 Stelle, e culminato proprio in questi giorni di contrasti serrati tra Grillo e Conte non fa che confermare, in modo persin plateale, ciò che sono stati, ciò che sono e ciò che saranno i 5 Stelle nel nostro paese e nella dialettica politica italiana nel futuro.