Contro le previsioni fatte negli anni settanta/ottanta, un punto fermo delle economie più avanzate è il persistere di un’industria manifatturiera. Ciò vale anche per l’Italia, che, tuttavia, rischia di perdere colpi anche in questo settore, in futuro. L’attuale carente politica industriale italiana, infatti, può favorire solo un processo di deindustrializzazione, soprattutto nella fascia dei settori a più alto contenuto tecnologico.
Al giorno d’oggi l’Europa presenta due sistemi produttivi dominanti: la Germania e la Francia, con i quali le piccole-medie imprese italiane hanno intensi scambi produttivi e commerciali, che hanno favorito il formarsi di aree a maggiore valore aggiunto in Lombardia, Veneto e Emilia Romagna, con un conseguente incremento del divario Nord-Sud. Tuttavia, il sistema produttivo italiano rimane caratterizzato da produzioni a basso valore aggiunto, e dal modesto volume di investimenti tecnologici, con un andamento della produttività del lavoro nettamente inferiore a quello tedesco e francese. Da qui, la debolezza con cui l’industria italiana affronta una fase di radicali trasformazioni a livello mondiale.
Nel periodo 1995/2022, l’Italia presenta una produttività del lavoro inferiore a quella media dell’UE (-1,2%, dati Istat 2023). Nel 2023, l’Italia, nella graduatoria dei paesi “innovators” dell’UE, era al 15° posto su 27 paesi innovativi, la Germania stava al 7° posto. (fonte UE).
I dati riportati, dunque, indicano una produttività e una capacità di innovare che testimoniano la scarsa competitività dell’industria italiana e il modesto dinamismo tecnologico, che ha determinato ritardi strutturali rispetto ai competitors europei. Uno degli effetti più evidenti è che molte delle imprese del Nord-Italia sono diventate fornitrici al servizio dell’industria tedesca, operazione che ha consentito di far quadrare i conti economici, perdendo, però, l’autonomia strategica.
Ulteriore incremento della debolezza del sistema Italia è l’elevato debito pubblico, che comporta l’esborso, da parte dello Stato, di enormi somme di denaro, che vengono sottratte agli investimenti strategici nel sistema delle imprese.
Il problema di fondo, quindi, è l’incremento della produttività ai livelli tedeschi e francesi, indispensabili per una strategia di sviluppo, non solo dei processi di accumulazione nell’industria, ma anche del sistema produttivo nel suo complesso, compresi i servizi.
La via da percorrere, come già indicato in questo magazine, è quella di un incisivo piano di formazione professionale, necessario sia per colmare la carenza di figure professionali indispensabili nel sistema della produzione, sia per creare le condizioni di un positivo impiego del know-how derivante dagli sviluppi tecnologici futuri; nonché, da un piano decennale di innovazione tecnologica. Piano che dovrebbe avere, alla sua base, poche e vincolanti linee di ricerca, con al primo posto l’intelligenza artificiale, nell’ottica di una UE che accetta la sfida Usa/Cina.
L’investimento in nuova tecnologia deve coinvolgere Università, Centri di ricerca, imprese pubbliche e private; soggetti da organizzare in reti decentrate territorialmente e autonome, inserite in una ripotenziata R&S europea.
Servono, quindi, politiche nuove e coraggiose per riformare il capitalismo italiano, che oggi è fragile e troppo dipendente dagli interessi della finanza internazionale. Diversamente, la rinuncia a riprendere il percorso di crescita, che l’Italia ha saputo perseguire negli anni del miracolo economico, diventando la quarta/quinta potenza economica al mondo, porterà ad accettare la prospettiva di una integrazione nella piattaforma industriale tedesca delle aree industriali più competitive del nord-est, premessa per un’Italia succube degli interessi tedeschi.
Fonte: “Italia Informa” (Magazine economico, n. 2, marzo-aprile 2024).