Nei giorni passati chi scrive ha cercato su queste pagine di individuare alcuni pur flebili “spiragli di luce” che lasciano intravvedere un possibile avvio di una nuova fase, destinata a far cessare le violenze nei due principali – e purtroppo non unici – conflitti in atto nel mondo.
Sono “spiragli” che effettivamente un osservatore molto attento può cogliere, ma solo se motivato da una esigente ricerca della pace. Spiragli che una diplomazia come quella vaticana, ad esempio, potrebbe esplorare nel dettaglio. E chissà che non lo stia facendo.
Ciò premesso, resta che negli ultimi due/tre giorni i segnali pervenuti, per così dire, dal “campo” vanno in tutt’altra direzione. In Israele lo scontro emerso fra i militari e il governo ha confermato una volta di più la truce determinazione del premier Netanyahu, volta a proseguire la guerra a Gaza sino alla completa distruzione – a questo punto – di ogni struttura esistente nella Striscia e ora fors’anche tesa ad aprire un nuovo fronte, a nord, contro l’altro gruppo islamico radicale alleato dell’Iran, Hezbollah. Sappiamo ormai tutti che il capo del governo di Gerusalemme può sperare di rimanere al potere e di non precipitare molto in basso nel suo paese solo proseguendo a tempo indeterminato le operazioni militari. In Ucraina continua l’offensiva russa, sempre più aggressiva, ma al tempo stesso la nuova dotazione di armi difensive e offensive in arrivo dagli USA lascia a Zelensky la esplicita speranza di poter continuare la lotta ancora per lungo tempo. I venti di guerra dunque non hanno cessato di soffiare.
Poi c’è la politica. E questa, la grande assente dagli scenari anzidetti, in quanto capacità di volgere lo scontro in confronto prima e in mediazione successivamente, pare a sua volta orientata nel senso del conflitto.
A occidente si vive in attesa delle elezioni americane. La diplomazia di Biden e Blinken, per quanto assai attiva, non può non soffrire della sua possibile – alcuni giudicano probabile – eclissi: si spiega anche così l’atteggiamento del governo israeliano verso il suo potente, e decisivo, alleato e ora anche le dure parole rivolte da Netanyahu nei confronti di Washington. Confidente, quest’ultimo, in un ritorno di Trump, l’artefice degli Accordi di Abramo e avversario giurato del nemico iraniano.
L’Unione Europea, da parte sua, non è certo uscita rafforzata dalla recentissima competizione elettorale. Divisa più che mai e indebolita nei suoi “fondamentali” dall’avanzata imperiosa delle destre anti-federaliste soprattutto nei suoi due paesi principali, quelli che da sempre ne hanno orientato l’azione. E quindi se già prima il suo peso nei conflitti in corso era pressoché nullo tanto più lo sarà nei prossimi mesi, o anni.
A oriente, le autocrazie/dittature si organizzano fra loro senza l’impaccio di un confronto democratico con le proprie opinioni pubbliche, as usual. E così Putin rinsalda gli accordi militari con il feroce satrapo nordcoreano, accordi che consentono alla Russia un rifornimento in armamenti molto importante, fors’anche decisivo. Pagandolo con l’impegno ad un soccorso militare in caso di attacco subìto, timore sempre presente nella mente contorta del dittatore di Pyongyang. Inoltre, sia pure al prezzo di esserne uno junior partner, rafforza i legami col cinese Xi Jinping, pronto a utilizzare la guerra ucraina in funzione anti-americana, il fronte che a lui interessa davvero.
Tutti costoro, e questa è la novità di maggior interesse emersa nell’ultimo biennio, stanno giocando la carta del Sud Globale attraverso il club BRICS+. La mancata sottoscrizione del documento di Lucerna sulla guerra in Ucraina da parte di alcuni suoi paesi membri ne è buona testimonianza. Ora, l’ambiguità di quel club è gigantesca, ove si pensi ad esempio alla recente partecipazione in Puglia al G7 allargato di Brasile e India o all’alleanza militare e non solo fra Arabia Saudita e Stati Uniti. Paesi impegnati in un difficile e rischioso equilibrismo fra occidente e oriente che però ha un obiettivo, sul quale non si può non riflettere, ovvero riequilibrare i rapporti di forza fra nord e sud del mondo. Alla luce dei nuovi e consolidati diversi pesi demografici e di una questione ambientale che essi non vogliono affrontare secondo i canoni ritenuti iper-ecologisti e nemici del loro appena avviato sviluppo economico che l’occidente pare aver abbracciato. Per essi, in fondo, l’indebolimento dell’Europa del Green Deal e il possibile come-back di Trump sono notizie da apprendere con indubbio piacere. Proprio come per Putin.