L’apostolato dei medici nelle parole di Giulio Andreotti

Dal ritrovamento di un suo scritto autografo, un contributo utile all’approfondimento biografico. A distanza di quasi 40 anni, riemerge qualcosa che aiuta a capire la sensibilità dell’uomo politico romano.

Nel rimettere in ordine alcune scartoffie, mi sono imbattuto casualmente in un testo autografo che ha catturato la mia attenzione. Sui fogli fotocopiati si staglia, da me aggiunta a penna solo una parola identificativa del materiale: Andreotti.

Incuriosito, ho cercato, non senza fatica, di decifrarne il contenuto. La calligrafia è la sua, precisa, ordinata, con correzioni, cancellature e aggiunte.

Con uno sforzo ancora maggiore, sono riuscito a identificarne la collocazione temporale. Infine, con una piccola ricerca di archivio ho verificato che il testo, vergato davvero dalla mano di Giulio Andreotti, era già stato pubblicato nel 1985 e ho potuto ricostruire da questa prima pubblicazione il contesto nel quale il discorso dell’allora Ministro degli Esteri fu pronunciato.

A distanza di quasi 40 anni ho ritenuto opportuno riproporlo quale elemento conoscitivo della visione e testimonianza della sensibilità e dei valori di una personalità politica che ha segnato un lungo tratto della nostra storia e che resta incompresa, spesso intenzionalmente distorta, talora caricaturalizzata, sempre comunque complessa e controversa. Ho rispettato integralmente lo scritto, anche per quanto riguarda le sottolineature e la punteggiatura. Le mie interpolazioni sono indentificate con l’indicazione NdR: Nota del Redattore).

L’occasione del discorso fu un meeting internazionale tenutosi in data 28 maggio 1985, pochi mesi dopo l’istituzione della Pontificia Commissione per la Pastorale degli Operatori Sanitari. Alcuni degli interventi tenuti nel corso della riunione furono poche settimane dopo pubblicati nel numero 5-6 (Maggio-Giugno) di Orizzonte Medico, il mensile dell’Associazione dei Medici Cattolici Italiani (AMCI). Per comprendere il senso della riunione, è necessario richiamare alcuni antefatti. Il 13 maggio 1981, il mondo aveva vissuto in diretta l’attentato a Giovanni Paolo II in Piazza San Pietro, per mano di Alì Agca. Il Papa rischiò la morte e attribuì il miracolo della sua sopravvivenza alla protezione della Madonna di Fatima, della quale ricorreva quel giorno la festa. Da allora incominciò per il Papa un lungo calvario di sofferenza, complicazioni, interventi, nuove malattie, che lo portarono a soggiornare così spesso in ospedale da arrivare a definire il Policlinico Gemelli come un secondo Vaticano.

Un anno dopo si tenne a Roma, organizzato dall’AMCI, il XV Congresso Mondiale della Federazione Internazionale delle Associazioni dei Medici Cattolici (FIAMC), della quale sarei divenuto Segretario Generale nel 1998 e successivamente, dal 1996 al 2002, Presidente. In modo eccezionale per l’epoca, non furono i 3500 Congressisti a recarsi in udienza dal Papa, ma fu il Pontefice a fare loro visita nell’Auditorium di via Conciliazione, straripante di persone entusiaste.

 

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