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mercoledì, Febbraio 12, 2025
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Alcide De Gasperi, lo statista.

Con questo titolo - “Lo statista” - il numero 3 del magazine “Il Mondo Nuovo”, in edicola da settembre, pubblica un lungo articolo di Fioroni (qui riproposto per gentile concessione del direttore) dedicato a De Gasperi.

Nel parlare di De Gasperi anche noi dovremmo adoperare le parole che usò lui, il 28 ottobre del 1922, per manifestare il suo stato d’animo in un momento difficile per il Paese, con la marcia su Roma in pieno svolgimento. Su una cartolina indirizzata alla famiglia, che a Borgo Valsugana attendeva sue notizie, scrisse con l’immagine del Duomo di Orvieto davanti agli occhi: “Cercando nelle opere della passata grandezza un conforto per l’ansiosa attesa dell’oggi”. Eccco, la grandezza che ci sovrasta, è pure elemento di conforto; e noi sappiamo quanto grande è stato De Gasperi, e come la sua figura abbia inciso sulla vita pubblica del nostro secondo Novecento. Per questo il settantesimo anniversario della scomparsa costituisce un’occasione preziosa per riflettere sull’attualità della sua lezione, per trarne politicamente conforto.

Uno dei suoi meriti. Ampiamente riconosciuti, è stato quello di aver traghettato l’Italia verso uno stabile sistema  democratico. Tutta la sua impresa si compie in otto anni, visto che inizia a fine 1945 e termina a metà del 1953. Ora, non si capisce De Gasperi se non si conosce la sua formazione. In sintesi, nasce in un piccolo borgo Trentino, Pieve Tesino, quindi è cittadino Austro-Ungarico, ovvero suddito di un impero in cui la scuola, obbligatoria sino a 14 anni, assolve pienamente alla funzione di contrasto all’analfabetismo, una piaga altrove devastante. Vive in un contesto in cui i cattolici, sulle orme di quanto promosso in Germania e Austria, possono organizzarsi in partito, mentre il non expedit avrebbe impedito a lungo, fino alla nascita del Ppi nel 1919, un’analoga libertà organizzativa dei cattolici italiani.

Lapertura della Chiesa trentina, specie sotto la guida del vescovo Endrici (1904-1940), valorizza lapporto dei laici al punto che nel 1905 al giovane De Gasperi viene affidata la direzione de La Voce cattolica”, organo ufficiale della diocesi. È questo l’ambiente in cui il futuro statista doveva maturare la consapevolezza che per i cattolici si imponevano nuove forme di impegno, tanto più che le masse contadine si affacciavano alla politica, agli esordi del nuovo secolo, con la tradizionale diffidenza del montanaro verso una certa aristocrazia intellettuale ed economica di stampo liberale, nonché verso lapproccio, a volte puramente ideologico, dei socialisti. 

Dopo lelezione nel 1909 al Consiglio comunale di Trento è la volta dell’ingresso, a due anni di distanza, al Parlamento di Vienna. Non sono tempi facili. Scoppia la Grande guerra e per i trentini, obbligati a combattere contro gli italiani, è una prova doppiamente amara sia per l’impatto materiale che per quello morale. De Gasperi è impegnato a dare protezione e sostegno alle migliaia di sfollati – la sua gente – costretti a vivere in condizioni spesso drammatiche. Vienna alla fine perderà la guerra. Nell’ottobre del 1918 è pronto a dichiarare in Parlamento che le terre irredente devono tornare alla madrepatria, scartando ambigue soluzioni autonomistiche come quella prospettata dai Popolari friulani per la vecchia contea di Gorizia-Gradisca.

Con il ricongiungimento del Trentino al Regno dItalia inizia la seconda vita di De Gasperi. Il primo intervento che fa alla Camera dei Deputati il 24 giugno 1921 è incentrato sulla difesa dellautonomia territoriale ma chiede come mai alla stazione di Trento, dove prima operavano tre impiegati agli sportelli di biglietteria, ora fossero diventati dodici, nonostante la diminuzione del numero dei biglietti. E tra lilarità dei colleghi deputati chiede se non sia  opportuno,  di fronte alla disparità di spesa con la precedente gestione asburgica, “arrivare a risparmiare lo spago, le buste e la ceralacca”.

 

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