Ha di nuovo vinto Trump, dunque, conquistando persino la maggioranza dei voti, anche se di poco, e non solo dei collegi. E ha perso la sinistra liberal. Che ha gridato «al lupo» per mesi, allertando il mondo sui rischi per la democrazia, dandogli del fascista e dell’autoritario, senza considerare anche solo per momento quanto avesse reso vuota quella stessa democrazia. Perché, se è vero che Trump ha preso più voti del 2020 e spesso anche del 2016 – anche negli “swing states” – è però vero che l’affluenza è rimasta poco sotto il 65%. Un dato normale per gli Stati Uniti ma che di per sé spiega molto di quanto lontane siano larghe fasce di popolazione dalle istituzioni, perché, se più di un terzo dei cittadini si autoesclude, qualcosa vorrà pur dire.
Il “fenomeno” Trump è dunque tornato, ma non se n’era mai andato e questa volta farà sul serio. Dopo l’irruzione sulla scena nel 2016 aveva portato con sé un variegato circo di advisor e staff poco avvezzi alla politica e a frequentare le stanze del potere a Washington. Aveva fatto danni, ottenendo poco delle sue roboanti promesse, ma non fino al punto di perdere completamente il suo elettorato. E i suoi fans sono rimasti, più fedeli che mai. Certo, perse nel 2020, grazie ad un’affluenza appena maggiore che premiò Biden – e non gli era parso vero – facendolo gridare al complotto, tentando addirittura il colpo di stato. E ora è tornato, e la rivincita sarà spietata. Perché il suo personale, advisor e consulenti, saranno questa volta scelti con più misurata accortezza per il suo progetto eversivo.
Con Trump, ha vinto il disordine, contro l’ordine. Certo, il grande sovvertitore ha vinto grazie alla macchina messa in piedi dal capitale che preferisce il potere agile alle “regole”, facendone un imbonitore. Ha vinto la plutocrazia, la longa manus del capitale che oggi più che mai tutto controlla, a partire dai media, i social e tutto l’apparato dell’informazione (dovremmo tutti abbandonare Twitter-X, ma sarà ben poca cosa). Ha vinto la politica muscolare, anima dei fascismi, ha vinto la politica della paura e dei muri, che sempre vince quando i deboli sono lasciati a se stessi. E ha perso la sinistra liberal, il cui appeal si è ristretto ai ceti medio-alti, alle fasce più istruite, al sindacalismo più “strutturato”.
Trump è il caos, il disordine – mentale, della politica, delle logiche – che tutto altera. Un ricco che fa appello ai meno ricchi per rovesciare le “élite”, con ciò intendendo quel vasto corpus di ceti medio-alti, colti e “moderati”. Trump è in qualche modo anarchico, un estremista che vuole rovesciare il tavolo delle convenzioni, per spazzare via il “buonismo” della cultura woke, con il cinismo tipico dell’autocrate che agisce in nome del popolo bistrattato da regole insopportabili. Un fascista, certo, che non esita a richiamare l’uso della forza, che pensa di poter comprare tutto, basta volerlo, come la sua storia con la porno-star dimostra. Che fallisce, va in bancarotta, vende fumo, ma ritorna e promette di fare pulizia, mentre coltiva amicizie ambigue. Un personaggio satanico, animalesco, brutale, che sa agitare l’animus dell’americano “brutto” che vuole solo la rivincita dello status. L’americano “quieto”, come ci ricorda Viet Thang Nguyen, che guardava ai democrat perché gli avrebbero garantito il suo quieto vivere nel benessere medio si ritrova ora sorpassato dalla massa dei rednecks e dei ceti proletari bianchi e dei latinos – gli ultimi parvenues alla tavola dei dannati – che reclamano cittadinanza piena, contro quei milioni di outsiders invasori per cui non c’è più posto, non ci deve essere più posto.
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