Dopo una settimana di faticose riunioni, si è sbloccato il nodo politico tutto interno ai palazzi di Bruxelles per dare il via libera alla Commissione von der Leyen bis.
Lo stallo dei giorni scorsi ha messo in luce per l’ennesima volta le tante difficoltà del processo decisionale a livello europeo e non basta indicarne la causa nei bizantinismi della politica. Il discorso è più complesso, passa dalla ormai non più rinviabile riforma dei Trattati, peraltro pensati in un mondo completamente diverso, alla necessità di creare una vera classe politica europea.
Negli ultimi 5 anni, l’Unione europea ha dimostrato ottime capacità di reazione quando ha dovuto rispondere a shock esterni, come la pandemia di Covid e l’invasione russa dell’Ucraina. L’acquisto congiunto di vaccini e la successiva campagna vaccinale sono stati un grosso passo in avanti rispetto alla incapacità di dare una risposta collettiva alla crisi scatenata nel 2011 dai mutui sub prime e a quella dei migranti nel 2014. La decisione di emettere per la prima volta titoli di debito comune, convincendo anche i cosiddetti Paesi frugali, è stato uno strumento innovativo il cui successo si misurerà sul successo dei PNRR nazionali, con i fucili spianati di chi ha mal digerito la soluzione a suo tempo.
Sulla guerra, il pacchetto di assistenza finanziaria all’Ucraina di 35 miliardi stanziato il 23 ottobre scorso dal Consiglio è l’apice di una lunga serie di iniziative: non solo sanzioni, ma anche accoglienza dei rifugiati, sostegno militare, aiuti umanitari, protezione civile, indagini e perseguimento di crimini di guerra. Senza dimenticare le iniziative intraprese per garantire l’approvvigionamento energetico a cittadini e imprese europee e i “corridoi di solidarietà;” che hanno portato milioni di tonnellate di cereali dall’Ucraina ad Africa, Medio Oriente ed Asia per evitare una crisi alimentare mondiale e ulteriori flussi migratori.
Ora serve però un’Europa che sappia cambiare approccio. L’auspicio, nei prossimi 5 anni, senza voli pindarici, è che si trovi una formula che consenta all’Ue di essere protagonista sempre, non solo in questioni di emergenza.
Pena un definitivo distacco dalla realtà quotidiana che vivono famiglie ed imprese. In fondo, in questi anni, i cittadini hanno guardando all’Ue come i genitori guardano un bambino imparare ad andare in bicicletta. Dispiace vederlo cadere, ma è normale che accada. Altrimenti non impara mai. Ora però il numero di cadute ha superato il limite di guardia.
In questo senso, la riunione dei Ministri degli esteri di Polonia, Francia, Germania, Regno Unito Spagna, Italia e con l’Alto Rappresentante Ue Borrell, tenutasi nei giorni scorsi, non a caso a Varsavia, può essere un primo passo. Ma solo se la strategia globale unitaria annunciata in quella sede saprà prendere il via in breve tempo e senza passare da una preliminare approvazione di Washington. Anche la richiesta di andare oltre il 2% del Pil per investimenti in difesa dovrà necessariamente passare per un percorso di consenso tra i governi nazionali e nelle pubbliche opinioni.
La guerra, il conflitto in Terra Santa, le tensioni commerciali con la Cina, le future probabili tensioni con gli Stati Uniti, non lasciano al Vecchio Continente tanto tempo. La ricreazione è finita e sta all’Ue dimostrare se ha imparato o no ad andare in bicicletta, se non vuole condannarsi da sola ad essere il vaso di coccio in un mondo di superpotenze più moderne, rapide, efficienti.