L’elezione di Raffaele Fitto rappresenta per l’Italia un punto fermo nella vicenda europea. Oltre a confermare il ruolo del nostro Paese, è un risultato che evidenzia il valore di una preziosa convergenza tra i principali attori della politica nazionale, dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Un aspetto altrettanto sorprendente è l’inedita sinergia tra due ex premier, Mario Monti e Romano Prodi, che ha contribuito a rafforzare il peso politico italiano in una fase cruciale per il futuro dell’Unione Europea.
Il comune indirizzo espresso da queste personalità, che pure appartengono a tradizioni ed esperienze diverse, dimostra come il superiore interesse dell’Italia possa prevalere sulle divisioni politiche. L’obiettivo comune? Garantire al nostro Paese un ruolo da protagonista nel processo di rifondazione europea, spingendo verso una visione federalista e contrastando l’avanzata dei sovranismi. In questa dinamica, l’Italia si schiera contro modelli di leadership europei più conservatori e nazionalisti, incarnati da figure come Viktor Orbán e, in parte, Matteo Salvini.
C’è da dire che l’accordo tra Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni è sopravvissuto a numerosi scossoni, confermando l’abilità della premier italiana a muoversi con pragmatismo nei Palazzi di Bruxelles. Anche il voto contrario sulla Presidenza della Commissione può essere letto a posteriori con altre lenti. Non è escluso che sia stato concordato con la stessa von der Leyen per non mettere a rischio l’equilibrio politico della sua fragile maggioranza di centro-sinistra.
In questa circostanza, il Presidente Mattarella ha sottolineato la necessità di riaffermare la funzione essenziale dell’Italia in un’Europa sempre più frammentata. Ciò richiama le radici storiche della nostra partecipazione al progetto europeo, inserendosi in un quadro in cui i partiti democristiani, per altro, continuano a rappresentare un argine efficace contro i movimenti di matrice sovranista.
L’esempio più lampante di questa tendenza arriva dalla Germania, dove la CDU (Unione Cristiano Democratica) sta recuperando consensi, accingendosi perciò a ridiventare il perno della politica nazionale. E in Europa? È plausibile immaginare un ritorno in grande stile all’asse strategico tra democristiani e socialisti, a patto che questi ultimi riescano a contenere il loro declino elettorale.
La capacità di rilancio di questo equilibrio politico dipenderà dall’impegno dei diversi protagonisti a cogestire le scelte di un’agenda condivisa. Allo stesso tempo, sarà fondamentale tradurre il senso di una comune visione in politiche concrete per affrontare i grandi nodi europei: dalla transizione ecologica al controllo del fenomeno migratorio, fino alla battaglia per una rinnovata competitività economica.
Se l’Italia riuscirà a proporsi come un ponte tra le diverse anime dell’Europa, potrà davvero aspirare a guidare il continente verso una nuova fase del processo di integrazion. L’elezione di Fitto, in questo senso, non è tanto un traguardo, ma un punto di partenza per riaffermare l’apporto decisivo del nostro Paese al futuro dell’Unione Europea.