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venerdì, Marzo 14, 2025
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La sfida bipolare di Elly Schlein sotterra ogni prospettiva di proporzionale

Le recenti elezioni regionali evidenziano il declino del Movimento 5 Stelle, la strategia identitaria del PD di Schlein e l’urgenza di superare il bipolarismo con una nuova riforma elettorale.

Che i risultati delle recenti elezioni regionali in Emilia Romagna e in Umbria, con la chiara vittoria delle liste dell’inedito “campo largo” progressista, dopo aver superato nettamente i pentastellati di Conte, non sarebbero stati solo un dato numerico ma avrebbero influito sulla linea strategica del PD di Elly Schlein, era immaginabile.
Da tempo, infatti, l’obiettivo prioritario era uscire vincitori nella competizione interna alla coalizione di sinistra contro Giuseppe Conte e il suo movimento, uscito con le ossa rotte per via di un risultato che ha certificato il suo inarrestabile declino.

Nella nuova fase che si intravede, si nota un qualche punto di contatto con la vecchia idea veltroniana. Allora, si trattava di contrastare la crescente egemonia berlusconiana, puntando, sulla scia di una promettente crescita, a una sorta di bipartitismo anglosassone, con tanti cespugli attorno a un partito guida per affrontare e contrapporsi direttamente alla forza egemone del campo avverso. Una scelta che sembra inserirsi nell’ormai permanente orizzonte bipolare, che fa diventare metodo la tendenza a desertificare l’area di centro, favorendo accorpamenti o intese con forze identitarie che non hanno ancora trovato una giusta visibilità nazionale.

Questa dinamica rivela, però, tutta la strumentalità di un preciso disegno verticistico finalizzato a captare, soprattutto, quella parte di elettorato cattolico che, dalla “diaspora democristiana”, ha perso ogni punto di riferimento identitario.

Ci sono, però, nel nuovo corso di Elly Schlein, differenze significative.
Se da una parte la tecnica attrattiva di Giorgia Meloni tende a privilegiare, come marketing elettorale, le forze di centro – principalmente l’area cattolica – in cerca di visibilità o di accreditamento, tanto locale quanto nazionale, Schlein sembra invece orientata a privilegiare il partito come una summa identitaria.

L’obiettivo, nella prospettiva della prossima legislatura, appare quello di evitare alleanze sia con le forze di centro sia con quelle più a sinistra, così da scongiurare ricatti e disimpegni che, in passato, hanno spesso impedito al PD di portare a termine le proprie investiture governative.

Questa percezione trova conferma nell’acquisita tendenza di Renzi e Calenda, i quali – traendo lezione dalle deludenti performance del Terzo Polo – sembrano orientarsi a confluire, al momento fluidamente, all’interno del PD.

Quel che non convince, tuttavia, è che difficilmente una tale convivenza di culture può durare a lungo. La prevalente radicalizzazione libertaria su diritti civili, fine vita e l’approccio bellicista al conflitto russo-ucraino, unita a una buona dose di giustizialismo e antipolitica mutuati dai 5 Stelle, rischiano infatti di rendere difficile ogni compatibilità valoriale con l’area centrista e cattolica.

Francamente, da chi afferma di avere a cuore l’integrità della Costituzione, lo Stato di diritto e le sorti del Paese, non ci saremmo aspettati questa netta conversione al bipolarismo. Si fatica, infatti, a comprendere questa sorta di cecità politica che sembra affliggere l’attuale PD.

Non appare di buon auspicio, inoltre, l’assuefazione a considerare cosa ordinaria l’essere governati da minoranze che, pur vincitrici nei responsi elettorali, non risultano rappresentative dell’intera realtà del Paese, considerato che ormai più della metà degli elettori non vota.

Ci si chiede, dunque, se questo forte affievolimento della partecipazione, cardine fondamentale del principio di sovranità democratica, debba essere ritenuto un fisiologico esercizio dei diritti politici o, piuttosto, l’effetto della mancanza, ormai cronica, nel sistema, di una cultura della mediazione e della lungimiranza.

A ciò si aggiunge l’assenza di modelli di partito e metodiche simili a quelli espressi da una classe politica di alto livello, che seppe garantire sviluppo e prospettive al Paese negli anni difficili del secondo dopoguerra.

Stupisce, infine, il tempismo con cui ci si affretta a cogliere questo mutamento di umori, con il recente progetto governativo di premierato, ora in discussione in Parlamento.

A questo punto, sarebbe auspicabile che l’area cattolico-democratica e riformista si affranchi dalle suggestioni strumentali, tanto di destra quanto di sinistra, per cominciare, invece, a promuovere un progetto credibile per il terzo millennio, in linea con le sfide epocali e considerando la geografia delle nuove potenze emergenti.

Diventa necessario, inoltre, rimettere al centro il problema della riforma elettorale, puntando su un ritorno al proporzionale secondo il modello tedesco del cancellierato con sfiducia costruttiva.

Un ritorno a livelli fisiologici di partecipazione al voto sarebbe essenziale per garantire un giusto coinvolgimento. In un contesto di grandi cambiamenti – segnato dall’isolazionismo degli Stati Uniti, interpretato oggi da Trump, e dalla necessità per l’Europa di ridefinirsi su difesa, immigrazione, lavoro, fisco e accordi vitali su energia e commercio – scelte più rappresentative del Paese e dell’Unione Europea diventano un imperativo per affrontare il futuro con maggiore consapevolezza.