Diciamoci la verità: lo schema che ha accompagnato la “discesa” in campo (o la “salita” a seconda della prospettiva) del civil servant Ernesto Maria Ruffini risponde, come sappiamo, a dinamiche consuete e ormai consolidate.
Anzitutto, un profilo nobile: il padre, Attilio Ruffini,partigiano cattolico, più volte Ministro in dicasteri strategici (Esteri, Difesa, Marina mercantile, Trasporti) deputato Dc (dal 1963 al 1987) e – a sua volta – nipote del cardinale Ernesto Ruffini. Un background familiare serio e di prim’ordine.
Il desiderio dell’impegno civico: prospettiva non pienamente attuabile ricoprendo un incarico pubblico, per di più in un esecutivo nel quale la riflessione “orizzontale” (come direbbe De Rita) sembra nonappartenere al programma di Governo.
A domanda precisa il diretto interessato ha risposto di non voler “scendere in campo”, ma le modalità con cui ha comunicato il suo addio da direttore dell’Agenzia delle Entrate (e le parole con cui lo ha motivato) trasudano di passione politica.
Se dunque non ci sono prove di un’entrata imminente nell’agone politico – in qualità di “federatore” di una parte non trascurabile del mondo cattolico – tuttavia abbondano gli indizi. Anzitutto, le interviste (piene di senso ma ancora prive della coda pregiata del consenso) che da giorni si susseguivano su questa eventualità, tanto da avviare un dibattito sulla figura più adatta a riempire il vuoto politico, additato da molti analisti come il vero tallone d’Achille di un’opposizione incapace di costruire un’alternativa credibile all’attuale maggioranza. Poi l’endorsement preventivo di alcuni “padri nobili” del mondo cattolico (da Romano Prodi a Bruno Tabacci) ma soprattutto le dichiarazioni – non proprio amichevoli – da parte di chi cerca da tempo di presidiare il Centro, o vorrebbe provare a farlo.
Il diretto interessato ha rilasciato una lunga intervista al “Corriere della Sera”, a metà tra la rivendicazione del lavoro svolto e il cahier de doleance. “E stata fatta – ha spiegato Ruffini – una descrizione caricaturale del ruolo di direttore dell’Agenzia delle Entrate, come se combattere l’evasione fiscale fosse una scelta di parte o addirittura qualcosa di cui vergognarsi”. E sul possibile impegno pubblico ha chiarito: “Scendo, ma non in campo. Scendo e basta. Rimango con le mie idee e i miei ideali e difendo il diritto e la libertà di parlare di bene comune e senso civico. Per me oltre che un diritto è un dovere di tutti”.
Si può dire, a questo punto, che sull’autostrada del Centro vi sia un ingorgo politico, con una pletora di automobilisti in coda al casello elettorale. Pletora che comprende, oltre al citato Ruffini (e ai leader del cosiddetto “Terzo Polo”), anche il sindaco di Milano, Beppe Sala e l’ex capo della Polizia, Franco Gabrielli.
In attesa di futuri sviluppi, ci auguriamo che il nuovo anno possa portare consiglio all’ultimo arrivato. Per la serie: più convegni, meno interviste. Ricerca del dialogo con tutte le forze politiche (a cominciare dal Pd). I complimenti e gli elogi di questi ultimi giorni – invero esagerati – vorrebbero spianargli la strada ma rischiano seriamente di produrre l’effetto contrario.