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mercoledì, Febbraio 12, 2025
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A destra preoccupa la formazione di una nuova Margherita

Molto meglio per Giorgia Meloni uno scontro diretto con Schlein impostato sull’identitarismo che un rischioso confronto con qualcuno in grado di parlare anche ad un elettorato non ideologico e non radicale,

Quanto potrebbe essere decisiva la nascita di un partito capace di riconquistare lo spazio politico che fu occupato, prima della costituzione del PD, dalla Margherita, il partito guidato da Francesco Rutelli una ventina d’anni fa, lo testimonia il duro attacco mosso a Romano Prodi dalla Presidente del Consiglio nel corso del suo sguaiato comizio a chiusura della festa di Atreju.

Lo ha riconosciuto su il Giornale Augusto Minzolini, osservatore di lungo corso della politica nazionale, non certo imputabile d’essere un amico del centrosinistra. “L’obiettivo della Meloni – ha scritto – è semplice: evitare che il campo largo si doti di un’area moderata, di un centro alla destra del PD”. Prodi infatti da qualche tempo si è reso conto, e ha con onestà intellettuale cominciato a dirlo in chiaro, che il PD nella versione Schlein se da un lato ha riconquistato uno spazio elettorale a sinistra frenando l’emorragia di voti verso i 5 Stelle, dall’altro ha lasciato completamente scoperto lo spazio del centro, posta l’oggettiva emarginazione nel partito della sua componente riformista e in particolare di quella di provenienza popolare. E dunque quello spazio deve essere riempito.

La Premier è un politico a tutto tondo e ha colto subito la pericolosità dell’idea, decidendo così immediatamente di picconarla. Molto meglio per lei uno scontro diretto con Schlein impostato sull’identitarismo che un rischioso confronto con qualcuno in grado di parlare anche ad un elettorato non ideologico, non radicale, avulso dagli eccessi verbali e dalle troppo esibite manifestazioni di parte. Un elettorato che in una qualche misura (non ancora facilmente quantificabile, ma certamente non irrisoria) si è rifugiato nell’astensionismo e che in altra misura, pure essa da definire meglio ma non minuscola, sta guardando a Forza Italia e quindi a destra e non a sinistra.

Secondo il suo stile prudente e nei suoi modi felpati anche Paolo Gentiloni, in una lunga intervista concessa al direttore de il Foglio, ha proposto il tema, valutando “fondamentale” il contributo che potrebbe apportare l’area politica associabile a quell’esperienza “che per alcuni anni facemmo e che si chiamava Margherita”.

Una qualche soddisfazione per chi, come lo scrivente, ritiene ormai da tempo una necessità inderogabile la ricostruzione di un nuovo centro-sinistra dopo la vittoria del destra-centro alle politiche del 2022 e dopo il cambiamento strutturale intervenuto nel PD a partire dalle primarie del febbraio 2023. “Al centrosinistra manca il centro. Uno spazio da occupare”, scrivevo qui lo scorso giugno. Ma, al di là della soddisfazione, che a ben poco serve, la questione è reale e fa piacere che inizi ad essere considerata con attenzione.

Ma non è di facile soluzione. Occorre esserne consapevoli. Soprattutto se prima ancora di cominciare il lavoro ci si divide sui nomi, come se la disastrosa e negativa esperienza del duo Calenda-Renzi non avesse insegnato alcunché. Ho trovato da questo punto di vista, ad esempio, assai sgradevoli le affermazioni del sindaco di Milano circa la presunta scarsa popolarità di Ernesto Maria Ruffini: a fronte di un progetto politico serio e di enorme importanza, e proprio per questo di assai complicata attuazione, deve prevalere la solidarietà fra le persone che si propongono di interpretarlo. Di più: che dovrebbero costruire le condizioni per la sua realizzazione concreta sul territorio e fra la gente comune, impegnandosi dunque – piuttosto che in sterili diatribe sul possibile leader – nella definizione del progetto, delle sue derivazioni programmatiche e, soprattutto e prima di tutto, del suo perché. Un perché ambizioso nei suoi termini ideali, in quanto motivato da un impegno solidale per il bene collettivo; e pure nei suoi termini politici, in quanto determinato a divenire decisivo, con un dato quantitativo importante e non certo da “cespuglio” (altrimenti a ben poco servirebbe) per far tornare il centro-sinistra alla guida del Paese. Come lo fu con Prodi. Meloni lo ha capito bene, avendo fiuto politico. Chissà che, finalmente, lo comprendano anche quelli che dovrebbero esserne gli attori protagonisti.