C’è un aspetto, forse di natura pre politica ma non solo, che continua ad essere fortemente e spiccatamente evocato ed invocato. Si tratta dello “stile” della classe dirigente politica. O, come direbbe qualcuno con un pizzico di moralismo, del “comportamento”. Ormai non c’è riflessione da parte dei soliti e collaudati opinionisti della carta stampata e dei talk televisivi – che poi le due categorie coincidono quasi sempre – che non sottolineino la necessità di recuperare uno stile adeguato, corretto e serio da parte della classe dirigente del nostro paese. E qui emerge la curiosità e la singolarità del richiamo. E cioè, gli storici ed implacabili detrattori della storia, dell’esperienza e della presenza della Democrazia Cristiana e dei suoi principali leader e statisti, adesso paradossalmente ne rimpiangono le gesta. E soprattutto lo “stile” e lo stesso comportamento politico ed istituzionale.
Da Mieli a Giannini, da Cazzullo alla Gruber, da Formigli a Floris – cioè gli avversari storici della Dc – è quasi un peana per il ritorno dello stile di un tempo. Certo, il tutto viene teorizzato e sostenuto solo in virtù dell’odio altrettanto implacabile e pregiudiziale nei confronti dell’attuale maggioranza di governo. Ma, al di là di questo elemento che non è, comunque sia, un dettaglio, è indubbio che anche di fronte a palesi comportamenti inadeguati di parte dell’attuale classe dirigente, cresce il rimpianto dell’antica ma mai del tutto archiviata classe dirigente democratico cristiana. Un ceto che, al di là delle capacità e della stessa cultura di governo, ha sempre conservato anche, e soprattutto, una dignità nel declinare concretamente l’attività politica e pubblica. E questo è, oggi, uno degli elementi più gettonati e più richiesti per rinnovare la politica e ridare prestigio ed autorevolezza alla stessa classe dirigente.
Ora, però, per non ridurre il tutto ad un fatto puramente estetico e di ‘bon ton’, non possiamo non rilevare che la dignità, l’autorevolezza e il prestigio di una classe dirigente è anche il prodotto concreto di una politica, di una visione, di un progetto e della credibilità di una cultura di governo. Perché se è solo questione di stile anche i populisti o gli estremisti o i massimalisti o i sovranisti – cosa difficile ma non impossibile – possono avere un soprassalto di orgoglio e darsi “un tono”.
Ma questo, appunto, è un fatto quasi impossibile da verificarsi. Perché una classe dirigente è autorevole se è politicamente autorevole e di qualità. E, al di là del giudizio postumo dei detrattori storici della Dc, delle sue politiche e della sua classe dirigente, non si può ritagliare e circoscrivere il tutto allo ‘stile’ che prescinde radicalmente dalla politica e dal suo progetto. Sarebbe una operazione che conferma solo l’ostilità atavica e dogmatica della cosiddetta intelligenthia di sinistra nei confronti della Dc e del ruolo che ha avuto nella società italiana per svariati decenni. Insomma, “cultura del comportamento e cultura del progetto” procedono sempre di pari passo come ci ricordava sempre Pietro Scoppola. Perché lo stile non è solo metodo e regola ma è, soprattutto, merito politico.