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giovedì, Febbraio 13, 2025
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Barriere residenziali: la Consulta fa il punto sul diritto alla casa.

La Corte costituzionale dichiara illegittima la normativa del la Provincia autonoma di Trento che richiede la residenza di dieci anni sul territorio nazionale per le prestazioni in materia di edilizia residenziale pubblica.

Il primo colpo di piccone alla legislazione autonoma che genera situazioni di differenziazione di ‘status’ è stato dato e per ora riguarda l’edilizia residenziale pubblica nella Provincia di Trento. Le Sentenze della Consulta sono orientate a valutare le leggi ordinarie in rapporto al principio giuridico della loro costituzionalità. Dal sito della Corte Costituzionale si riporta uno stralcio della sentenza emessa il 3 gennaio 2025 che aprirà ad una riconsiderazione della materia abitativa sull’intero territorio nazionale.

La Corte costituzionale, con la sentenza numero 1, ha dichiarato, in riferimento agli articoli 3 e 117, primo comma, della Costituzione, l’illegittimità costituzionale degli articoli 5, comma 2-bis, e 3, comma 2-bis, della legge della Provincia autonoma di Trento 7 novembre 2005, numero 15, nella parte in cui richiedono, per l’assegnazione dell’alloggio a canone sostenibile e per il contributo integrativo del canone di locazione, la residenza in Italia per almeno dieci anni, di cui gli ultimi due, considerati al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, in modo continuativo. (omissis)

Con riferimento a prestazioni che assicurano un’esistenza dignitosa e sono funzionali alla piena realizzazione della persona umana e all’effettivo esercizio degli altri diritti costituzionali, la previsione del requisito della residenza di dieci anni sul territorio della nazione non è sorretta da una valida ragione giustificatrice e non presenta alcuna correlazione con il bisogno abitativo. Si tradisce così «il compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana».

Anche nella Provincia di Bolzano la normativa prevede condizioni e prerogative abitative differenziate e non solo nell’ambito residenziale pubblico ma anche per la vendita e la locazione di abitazioni private. Si tratta dunque di una tematica che potenzialmente può interessare le due Province Autonome della regione Trentino Alto Adige.

La legislazione ispirata al principio dell’autonomia si basa su considerazioni non solo elaborate in sede locale ma evidentemente concordate con la normativa nazionale: all’origine ci sono ragionevoli motivi di tutela per la popolazione locale, stanziale da lungo tempo, al fine di preservare quel genius loci che è un valore fatto di cultura, tradizioni, lingua, identità, sostenibilità generazionale che caratterizzano e danno corpo al senso di appartenenza ad una comunità e che va giustamente preservato. Tutto ciò sta alla base del tema dell’autonomia e dei suoi derivati normativi ed è esso stesso un principio riconosciuto, avvalorato e tutelato dalla Costituzione.

Sono tuttavia noti i cascami pratici che derivano dalla legiferazione in materia abitativa specialmente in Alto Adige, che in primis si concretizzano nella differenza tra abitazioni libere e abitazioni convenzionate: le prime disponibili per il libero mercato, le seconde riservate ai residenti da un certo numero di anni. Un corpus di disposizioni normative precise e continuamente aggiornate che pongono limiti, regole, divieti.

Ci si chiede ora – in una prospettiva in divenire che tenga conto del pronunciamento della Corte – se l’affermazione dei principi di uguaglianza dei cittadini  (e dei loro diritti soggettivi, tra cui si può annoverare il diritto alla casa a prescindere dal vincolo della residenzialità come condizione di partenza) che la sentenza richiama anche in ordine ad una dimensione sovranazionale, possa in qualche modo ricondurre a quel “compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana».  Nella fattispecie la distinzione sopra richiamata (tra mercato libero e convenzionato) non riguarda solo l’ambito delle cd. “seconde case” ma può all’atto pratico risultare discriminante anche nei confronti di chi – esercitando il diritto di fissare la propria residenza secondo il sacrosanto principio degli “interessi prevalenti” (di salute, di cure, di lavoro, di ricongiungimento familiare o semplicemente elettivo) – incontrasse ostacoli alla realizzazione di un principio costituzionalmente garantito.