La centralità della famiglia continua ad essere un punto decisivo nella società italiana. Quali sono le politiche prioritarie per consolidare questa centralità?
Giovanni Paolo II, quando parlò al Parlamento italiano – la prima volta di un Papa! – nel 2002, indicava nel calo della natalità, già allora, la grande sfida di tutto il paese, all quale rispondere con politiche coerenti, rigorose, saggiamente ispirate ad una visione del futuro. Questo è il punto, a mio avviso. Il tema della famiglia e della sua tutela – la famiglia come la intende la Chiesa ma anche la famiglia intesa come persone legate da vincoli affettivi, di rispetto, di aiuto e tutela – va sottratta da dispute ideologiche. La famiglia, come la si voglia chiamare, è la cellula base di tutta la società. È il luogo dove si impara a vivere insieme e dunque è indispensabile che lo Stato la tuteli – nella forma della famiglia tradizionale di padre, madre e figli – ma tuteli tutti i bambini e le bambine. E ci siano politiche a favore dei figli, dell’educazione, della sanità e dell’accesso ai servizi. Spiace dover ricordare questi temi nel 2025, perché dovrebbero essere un patrimonio comune e condiviso. E comunque solo una politica che ha a cuore la famiglia, le giovani generazioni, sarà una politica lungimirante capace di guardare al futuro.
È necessario ridisegnare un nuovo Welfare per poter garantire e tutelare le fasce più deboli. Quali sono i versanti più vulnerabili su questo versante?
I due estremi della “forbice” sono le fasce deboli: i giovanissimi e gli anziani. E guardi, è importante pensare che i secondi aiutano gli altri. Sono tantissimi i nonni che aiutano i loro figli a far crescere i nipoti. Queste due fasce deboli – aio due estremi della vita – si saldano tra loro, in una solidarietà di affetti, di insegnamenti, di capacità di dialogo. Alla Chiesa stanno entrambi a cuore, come hanno dimostrato le straordinarie catechesi di Papa Francesco dedicate alla terza età che ci ha donato nel 2022. Oggi abbiamo degli strumenti a favore degli anziani, come la legge 33/2023 che riforma in modo radicale e razionale tutta l’assistenza socio-sanitaria. Dobbiamo ora attuarla, con la giusta gradualità e metterla in pratica. Come lei sa gli ultra 65enni in Italia sono un popolo di 14 milioni di persone. Anche qui è civiltà prenderci cura di persone che vivranno ancora 20 o 30 o anche più anni. Ed il loro contributo a tutto l’assetto sociale è ben lontano dall’essersi esaurito.
La presenza politica dei cattolici è sempre più importante e anche sempre più richiesta. Come si può declinare, oggi, questa rinnovata presenza politica?
Credo non sia più tempo di un partito cattolico in Italia, che stia per proprio conto. Il tempo è passato e non ci sono le condizioni di allora. E a mio avviso sono finiti per sempre. Ma è anche il tempo che i cattolici promuovano movimenti anche aggreganti che ospitino persone anche non credenti per esercitare una loro forza politica. Insomma non un partito cattolico, ma certo un partito di cattolici, e non solo, è più che auspicabile. I cattolici infatti hanno, a mio avviso, più degli altri la responsabilità di servire il Paese. Perché sia un Paese per tutti e non solo per qualcuno. La fede cristiana è infatti per sua natura sociale. Ed è all’opposto di ogni individualismo, di ogni ripiegamento su di sé. I cattolici, in questo momento storico, debbono avere un coraggio in più. L’iperindividualismo e forme problematiche di governi sovranisti, spingono a maggiore audacia. E una preferenza debbono averla: servire il Paese partendo dai più poveri. Sarà loro responsabilità e creatività scegliere i modi per aiutare tale prospettiva. Certo, alcuni valori, alcuni ideali i cristiani li debbono difendere in qualsiasi modo, penso alla pace, alla solidarietà, alla lotta contro le disuguaglianze, e così oltre. E decisivo è anche il loro impegno per una visione che sia oltre i confini del Paese. Ai cristiani deve stare a cuore l’intero pianeta.
Quali sono le culture politiche che possono affrontare con maggior forza e coerenza questa nuova sfida politica e sociale?
Non credo ci siano “culture” più attrezzate di altre. Dobbiamo prendere il meglio di ciascuno. La Dottrina Sociale della Chiesa ci fornisce strumenti formidabili a servizio di tutti, come il concetto di bene comune. Oggi le sfide riguardano l’accesso alla scuola, ai servizi, alla salute, all’educazione verso le tecnologie. Senza dimenticare i temi del fine vita e del fine della nostra stessa esistenza. Non ci sono “culture” che tengano. Siamo davvero tutti nella stessa barca, come la pandemia ha dimostrato. Ed anche le guerre che vediamo, purtroppo, ci ricordano che nessuno sfugge e tutti viviamo e vivremo gli effetti dei conflitti. A meno di avere uno scatto di umanità, di creatività, di senso civico e di fratellanza universale. Solo insieme andremo avanti. Continuare a dividerci tra ‘noi’ e ‘loro’ è drammaticamente senza senso.