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martedì, Febbraio 11, 2025
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La chiamata del perdono: un Giubileo per il mondo di oggi.

Con lo pseudonimo di Stefano Bolli, don Mazzolari pubblicava sul primo numero del 1950 di «Adesso», il suo quindicinale, alcune riflessioni sul Giubileo. Il testo è ricavato dall’«Osservatore Romano» del 13 gennaio scorso.

L’Anno Santo è incominciato la vigilia di Natale. Pio XII , col martello regalatogli dai lavoratori cristiani, ha dischiuso la simbolica porta, e la misericordia, amministrata con materna larghezza dalla Chiesa, ci viene ancor più vicina. «Chi ha sete venga alla Fonte; o chi non ha niente attinga con gioia».

Un anno che porta il nome di santo, più che un augurio è un impegno, sia per chi può andare a Roma, come per chi non può andarci, poiché ogni credente nella Redenzione è il pellegrino della propria salvezza e della salvezza di ognuno.

*  *  *

Sull’Anno Santo non ho nulla da aggiungere al molto che teologi e storici, letterati e giornalisti dicono e scrivono. Ci basta il Messaggio natalizio di Pio XII , così preciso e largo, così indulgente e sicuro, cui vogliamo intonare la nostra povera voce. Ci sentiamo così profondamente peccatori che il nostro grido verso il Perdono ci lacera e ci porta.

Ci sia quindi permesso di annotare con grossa pena l’inadeguata risonanza del Giubileo come dono spirituale. Se ne parla molto; l’organizzazione esterna è perfetta, ma la sordità di certi ambienti è inattaccabile.

Qualcuno pensa che il motivo giubilare sia scaduto negli stessi credenti per le occasioni frequenti e facili di acquisto dell’Indulgenza, nei cui confronti la «peregrinatio romana» è abbastanza onerosa, se non viene distratta dalla curiosità turistica.

D’altra parte non è facile far sentire la mistica del Giubileo a moltitudini che hanno smarrito, col senso del peccato, il loro mondo interiore, e che quando si muovono, si muovono per divertirsi, più che per riflettere e pregare.

Il Papa vuole «che non sia festività chiassosa, non un pretesto di pia distrazione, neppure un vanitoso sforzo di forze cattoliche nel senso inteso dal mondo, che fa considerare il felice successo nei momentanei concorsi delle moltitudini».

Ci auguriamo ch’Egli venga capito e obbedito da tutti i cattolici e dagli stessi che sono preposti all’organizzazione esteriore dell’Anno Santo. È così facile cadere nella tentazione dello spettacolare e mettere insieme, ad esempio, una Mostra delle Opere cattoliche, spendendo centinaia e centinaia di milioni.

Meglio fare che dimostrare di aver fatto. La sinistra che conosce troppo ciò che ha fatto la destra, rischia di rimanere con le mani in tasca, credendo di poter vivere di rendita.

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Leggendo attentamente il Messaggio papale, fui colpito da alcune parole, che non ho trovato in rilievo su nessun giornale cattolico.

Il Papa, a un certo punto, parla di «un’auspicata armonia dei valori celesti e terreni, divini e umani, ufficio e dovere della nostra generazione» come impegno dell’Anno Santo.

Nessun commentatore ha detto parole più impegnative sul significato dell’Anno Santo, che da molti è creduto un avvenimento totalmente distaccato dalla dura realtà del vivere quotidiano, il quale rimane chiuso ad ogni influenza della Comunione dei Santi, valida soltanto nei rapporti sovrannaturali.

Se nel mondo spirituale nessuno guadagna per sé, ma fa cassa comune con il guadagno infinito di Cristo a beneficio di tutti; se la Chiesa amministra questo comune patrimonio con speciale riguardo ai peccatori, che sono i poveri del mondo della Grazia; se tale economia viene giustamente chiamata provvida e santa e la solidarietà che la costituisce rappresenta il momento ideale dei rapporti tra uomo e uomo, perché non cerchiamo di trasferire questa regola anche sul temporale per fare «l’armonia dei valori celesti e umani» cioè l’armonia dell’uomo?

Non ci possono essere due regole per una stessa creatura, se, nell’unità inscindibile della persona umana, spirito e corpo hanno un comune destino di salvezza.

Presso gli ebrei l’anno giubilare valeva su ambedue i piani: venivano condonati i peccati e i debiti, riscattato l’uomo dalla schiavitù di Belzebù e di quella del padrone, e le terre ritornavano a chi le aveva dovute vendere per mangiare.

Qualcuno avanza il timore di una confusione del sacro e del profano; ma è un timore infondato, poiché ogni aspetto dell’uomo ha una sua sacralità, senza contare che una spiritualità disincarnata rischia di portarci fuori dell’uomo e di rendere indifferenti, se non proprio inamabili, le più consolanti verità della nostra religione.

Capisco come molti cristiani, che potrebbero trovare scomodanti certe «dilatazioni temporali» del Giubileo, si rifugiano volentieri nell’Ineffabile e siamo disposti a gridare allo scandalo, se qualche incauto vi accenna soltanto. Ma dietro all’augusta scorta del Messaggio papale, ciò che prima ci sembrava un sentire troppo personale, non può essere almeno espresso come voto?

Nessuno intende accreditarlo oltre il possibile. Ci sembra però che, se l’Anno giubilare venisse convalidato dalla parola e dalle opere dei cattolici anche nei rapporti sociali, «i figli lontani, smarriti, delusi e amareggiati, ai quali ingannevoli voci e forse anche incauta visione delle cose, hanno spento nel cuore l’affetto che già nutrivano per la Santa Chiesa, non respingerebbero l’offerta di riconciliazione che Dio stesso loro offre» (Pio XII ).

Superando l’istanza di giustizia del comunismo con una visione veramente più completa quale scaturisce dalla regola di carità dell’Anno Santo, si potrebbe veramente avviare «il grande ritorno».

L’approfondimento e l’estensione a tutto l’uomo della verità della Comunione dei Santi, che sorregge l’intera economia del Perdono, sarebbero certamente più efficaci dei costosi tentativi di catechesi cinematografica.

Ancora una volta il Papa ci precede. Egli è davvero «il primo pellegrino». Pure non rimanga solo anche questa volta.

 

N.B. Il titolo qui proposto è redazionale.