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venerdì, Marzo 14, 2025
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Ambizioni, silenzi e indecisioni: il caso Ruffini visto da vicino.

A proposito di leader…si “è credibili quando la selezione democratica dal basso precede sempre la cooptazione elitaria ed aristocratica dall’alto”. Quasi un dogma laico, questo, della sinistra sociale di ispirazione cristiana.

Premetto subito che non conosco Ernesto Maria Ruffini e quindi, come ovvio, non avanzo alcun giudizio e né, tantomeno, formulo alcuna valutazione politica sul profilo personale. Mi soffermo, come si suol dire, all’evidenza pubblica di questa persona. E, mettendo insieme i punti, da attento osservatore di tutto ciò che ruota attorno alla storia, alla cultura, all’esperienza e anche ai comportamenti di singoli esponenti dell’area cattolico popolare e sociale, mi limito a sottolineare alcuni aspetti che ritengo possano essere importanti per molti.

Dunque, Ruffini, è un autorevole e qualificato “civil servant” del nostro paese. Una categoria che un tempo si chiamava anche, un po’ sarcasticamente, la “razza eletta”. Cioè coloro che, bene o male, sono sempre destinati a ricoprire ruoli di grande potere per tutta la vita. In virtù, ovviamente, di un ricco curriculum professionale. E il percorso di Ruffini, al riguardo, sino ad oggi lo conferma.

In secondo luogo, e arrivando al versante politico, Ruffini è diventato un “personaggio pubblico”, e politico, dopo la partecipazione ad una bella iniziativa alla Lumsa di Roma organizzata dal Direttore del Domani d’Italia, Lucio D’Ubaldo, e dall’ex Ministro Beppe Fioroni. Un convegno interessante dove Ruffini – ero presente e quindi ho ascoltato attentamente – ha svolto una bella relazione. Alcuni l’hanno definita, un po’ goliardicamente, una suggestiva “predica laica”.

Dopodiché, terzo passaggio, la stampa amica, e non solo amica, amplifica a dismisura i convegni di due correnti del Pd. Quello di Milano che vede in Prodi il “guru” a cui continuare ad abbeverarsi e guidata dal “cattolico doc” Delrio – per dirla con una felice e tagliente battuta di Donat-Cattin degli anni ‘80 contro i ‘cattolici professionisti’ dell’epoca nella Dc – e il convegno a Orvieto di Libertà Eguale, associazione che fa capo a Morando, Tonini e Ceccanti. Ma, per tornare al Nostro, Ruffini partecipa attivamente al convegno di Milano in veste di “osservatore” ma comunque ben integrato e organico a quella corrente all’interno del Pd. Altrimenti avrebbe smentito le mille dichiarazioni che sostenevano quella tesi su tutti gli organi di informazione. Soprattutto in quelli più compiacenti e funzionali alla sinistra. E anche in quella occasione ha svolto una bella “predica laica” tutta incentrata sui valori e sul pre politico. Insomma, una relazione, e senza nulla togliere all’ex Direttore dell’Agenzia delle Entrate, che abbiamo ascoltato in altre mille occasioni durante i vari convegni nazionali e locali quando si parla del rapporto tra i cattolici e la politica. Dopodichè il Nostro è scomparso dai radar dell’informazione quotidiana se non per una curiosa partecipazione ad un convegno organizzato a fine febbraio da Bettini e compagni.

In ultimo, e questo però è l’aspetto politicamente più qualificante, c’è una domanda a cui prima o poi i suoi misteriosi “consiglieri” dovranno dare una risposta. Così, per pura curiosità e non certamente per interesse. Ovvero, Ruffini è partito come potenziale “federatore” di tutta la coalizione progressista e di sinistra. Dopodiché, visto che la proposta non entusiasmava, nell’arco di pochi giorni è diventato il potenziale “federatore” dell’area di centro della coalizione di sinistra.

Infine, visto anche qui lo scarso entusiasmo suscitato, è diventato un leader cattolico a disposizione della coalizione progressista.

Ora, per concludere, e sempre nel massimo rispetto di Ruffini e di ciò che rappresenta, c’è una lezione che traggo dalla lunga, ricca e feconda esperienza della prima repubblica. E, nello specifico, dalla cultura e soprattutto dallo stile dal comportamento trasmessi dalla tradizione del

cattolicesimo popolare e sociale. Ed è questa. Quando si parla di leader e di classe dirigente si “è credibili quando la selezione democratica dal basso precede sempre la cooptazione elitaria ed aristocratica dall’alto”. Era quasi un dogma laico della sinistra sociale di ispirazione cristiana dell’epoca. Ma credo che debba valere, a maggior ragione, anche per i predicatori popolari di ispirazione cristiana di oggi. Perché, in merito alla coerenza ai valori e ai principi democratici, conta solo quello che Pietro Scoppola definiva efficacemente come “la cultura del comportamento”. Prima ancora della “cultura del progetto”. Una lezione che dovrebbe valere per tutti ancora oggi, a prescindere dalla singola collocazione politica e partitica di ciascun cattolico popolare e sociale.