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sabato, Febbraio 22, 2025
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Da soli, in cammino verso un futuro incerto?

L’era dei muri invisibili: individualismo e solitudine politica nell’epoca dei leader carismatici. Come l’etica dell’Io sta erodendo il Noi collettivo. Siamo di fronte all’incertezza di una società senza legami e partecipazione.

Lo spunto di questa riflessione mi è stato offerto da Tom Homan, recentemente nominato da Donald Trump come Responsabile unico dei confini e delle frontiere USA. Ho letto che fu proprio lui a decidere di separare i figli dai genitori migranti, per scoraggiarli dall’oltrepassare la linea di demarcazione. Ma c’è di più. Intervistato di recente sulla lettera con cui il Papa ha invitato i Vescovi americani a costruire ponti e a praticare accoglienza, carità, fraternità e solidarietà verso i migranti, Homan ha risposto con arrogante presunzione e sorprendente ignoranza storica. Ha dichiarato che, così come il Papa ha le mura attorno al Vaticano, è giusto che anche gli Stati Uniti ne innalzino per proteggere il loro territorio.

 

Non è la prima volta che si usano le mura di Roma come giustificazione.

So bene di non essere solo in questa preoccupazione, ma confesso che il momento storico che stiamo vivendo mi rende confuso e non poco in apprensione.

Soprattutto quando considero la qualità della classe politica attuale, spesso priva di una formazione prepolitica, di esperienze associative, culturali o civico-amministrative. Come se si potesse andare all’università senza aver prima frequentato le scuole medie e il liceo. Mi preoccupa il suo spessore culturale ed etico, ma soprattutto la recente tendenza a cercare solo uomini forti, leader carismatici solitari che, con il loro populismo scontato – antica malattia dei capi sin dai tempi di Pericle – stanno facendo crescere le destre comprese le estreme destre in tutto il mondo. Leader narcisisti e uomini “senza qualità”, che mettono in scena una politica-spettacolo quotidiana per i media.

 

Cosa ci attende nei prossimi anni? Quale futuro per i nostri figli e nipoti, con questa classe politica e quella che verrà? 

Tralascio, ma non dimentico, le sfide già avanzate come il cambiamento climatico, l’intelligenza artificiale, l’automazione del lavoro e le inarrestabili migrazioni: vere e proprie rivoluzioni epocali che richiederebbero un’élite politica all’altezza delle sfide. Vorrei invece soffermarmi su un tema antropologico e culturale che metta un poco da parte l’empirismo positivista e quantitativo diffuso della politologia e della sociologia, e che si soffermi sull’antiumanesimo in pieno sviluppo.  

Rinasce con violenza una voglia di protagonismo e comando. Di essere capi forti, isolati e risoluti, come nelle dittature europee della prima metà del Novecento. Mi viene da pensare che questa pulsione sia figlia di un’etica protestante in ascesa, contrapposta a un’etica cattolica in ritirata: un’etica dell’Io, che accompagna individui sempre più isolati, in contrasto con l’etica del Noi della fraternità e solidarietà cattoliche. 

Un’etica del singolo, come ben spiega la filosofa Francesca Rigotti, che va oltre lo spirito del capitalismo novecentesco, un tempo mitigato dalla Dottrina sociale della Chiesa, dal liberalismo, dal socialismo e dal cattolicesimo democratico. Correnti culturali che, pur senza riuscirci pienamente, hanno cercato di conciliare eguaglianza e libertà, povertà e ricchezza, proprietà privata e statale, dignità della persona e diritti dell’uomo, dando vita alle Costituzioni democratiche moderne e allo Stato di diritto.

 

I social e i cellulari c’entrano poco.

La scomparsa del Noi e dello stare con gli altri non dipende solo dalla tecnologia, ma da cause più profonde, culturali e antropologiche. Si perde il bisogno di socializzare, di partecipare al bene comune, di dialogare con gli estranei, di confrontarsi anche con chi è diverso per colore della pelle, lingua o opinioni politiche. 

Al contrario, emerge una lotta violenta fra gli stessi amici, fra amici e nemici, il desiderio di vendetta totale verso l’avversario, come dimostra Netanyahu in una terra che ha inventato la parola “pace”. Cresce la voglia di ritirarsi in se stessi, di rifugiarsi in una tradizione intesa come difesa identitaria, di non partecipare più, nemmeno andando a votare. E nemmeno andando la domenica a messa.

 

Si cammina da soli.

È il tempo degli uomini soli al comando, dei tycoon che si percepiscono come predestinati da un Dio protestante che premia i vincenti e dimentica gli ultimi. Un’etica calvinista che alimenta leader solitari come Trump o Musk, ma anche Putin, con il sostegno del Patriarca Kirill. Un’ideologia dell’isolamento che in Europa si manifesta nelle spinte separatiste e nei movimenti sovranisti, nell’ossessione per un’identità patriottica che rifiuta l’incontro con l’altro. E in Italia, nella proposta di un’autonomia differenziata che frammenta invece di unire. Un individualismo che si riflette nella moltitudine di partiti e partitini, nei leader che vogliono distinguersi ad ogni costo, spingendo per una legge elettorale proporzionale non per pluralismo, ma per essere riconosciuti come unici e singoli.

Sino al punto di separarsi dagli abituali amici di percorso e presentarsi da soli alle elezioni. 

 

Eppure, c’è un’alternativa.

Ho sempre creduto nel messaggio racchiuso nell’enciclica “Fratelli Tutti” di Papa Francesco, oggi attaccato anche all’interno della sua Chiesa. Nella metafora di quell’unica barca su cui ha invitato l’umanità a salire insieme, mai come fratelli isolati su barche separate e nemiche. Si può essere antibergogliani, laici o atei, ma bisogna riconoscere che la Chiesa cattolica italiana, con il metodo del camminare insieme degli incontri sinodali, con il dialogo tra opinioni diverse e l’incontro fra amministratori locali di opposte fazioni politiche, ha lanciato un messaggio forte di unità e dialogo. Un insegnamento prezioso per affrontare le sfide del nostro tempo, per rinnovare la democrazia politica e per rispondere alla grave crisi di partecipazione che stiamo vivendo.