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sabato, Febbraio 22, 2025
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Chi sfascia l’Occidente non piace a Marina Berlusconi

L’estremismo segna la linea della destra. Eppure c’è anche in Italia una certa destra, sinceramente liberale, con la quale abbiamo il dovere di confrontarci e dialogare per il bene del paese.

Due scenari si sono imposti in questi due giorni di vita politica, nel quadrante europeo e nazionale. Il primo, sovranazionale. Con Mario Draghi, che con risolutezza, parlando al parlamento europeo, dopo il suo recente articolo sul Financial Times, delinea, senza mezzi termini, per superare lo stato di vulnerabilità economica dell’Europa, un New deal europeo, che, in primo luogo, deve partire dalla revisione degli ordinamenti e dei trattati comunitari per rimuovere gli ostacoli prodotti da barriere normative autolesive, generate dalle quelle stesse regole che si sono tradotte in un permanente freno alla crescita ed all’innovazione.

L’invito pertanto è a superare, con un cambiamento radicale, le vecchie logiche normative per avviarsi su quei percorsi di rinnovamento obbligato, con cui l’Unione deve fare i conti: decisioni a maggioranza, debito comune, difesa comune, snellimento della burocrazia comunitaria, politiche fiscali omogenee e una politica estera univoca, pena il rischio concreto, all’interno del concerto internazionale, di cadere nell’ insignificanza e nell’oblio.

L’altro scenario interno ha avuto come protagonista Marina Berlusconi che tre giorni fa, con un’intervista su Il Foglio, trasponendo nello scenario politico interno quel tipico coraggio che è linfa quotidiana per chi è aduso ogni giorno a scelte economiche e commerciali da cui dipende la vita ed il futuro di un’azienda, ha lanciato un messaggio chiaro: bisogna scuotersi dal torpore e soprattutto dall’inconcludenza, anche a dispetto dell’andirivieni di tanti vertici e dei tanti capi di governo dei paesi aderenti, con l’aggiunta dell’apparente attivismo della Von der Leyen sempre più prigioniera di parole vuote. Non si capisce, infatti, cosa realmente voglia fare per superare lo stallo – domanda che, come dicevamo, si è posto l’altro ieri ripetutamente Mario Draghi parlando al parlamento europeo. Emerge l’incapacità di dare risposte costruttive e coerenti, volte a rilanciare un ruolo cruciale dell’Europa. Per giunta, l’attesa spasmodica delle imminenti elezioni nella Repubblica federale tedesca ha messo in sordina altre riflessioni.

E tanta preoccupazione non può essere etichettata come un piccolo segnale di disagio, perché Marina Berlusconi non se la sente, e ben a ragione, di mettere, come tanti cittadini europei, la testa nella sabbia, ma si interroga, con un manifesto di intenti, che, come in un compendio, mette insieme il suo disagio è quello di tanti italiani, su certe chiusure che vanno dalla sfera dei diritti civili, ai taluni percorsi che attengono alla maternità, dal fine vita, alle disinvolture con cui spesso si agisce con politiche securitarie all’interno dei sistemi democratici, oggi, sempre più indeboliti da un populismo demagogico che ne deride le lentezze decisionali, dovute al rispetto delle garanzie istituzionali nel confronto con il decisionismo delle autocrazie e delle versioni più edulcorate definite, democrature, di cui l’Ungheria di Viktor Orbán è capofila.

Insomma un Cahier de doléances dal “sapore liberale, libertario, occidentale e poco nostalgico”, come lo ha definito Alessandro De Angelis su La Stampa di dell’altro ieri. In questo scenario devastante Marina Berlusconi si chiede se è accettabile per un’Europa, culla dello Stato di diritto, un così impietoso crepuscolo.

Mentre assai pregevole appare l’idea di un recupero del ruolo di guida della politica capace di saper intercettare istanze e bisogni collettivi e trovare sintesi, senza andare a inseguire il facile consenso assecondando e fomentando le paure della gente. Contesti che non ci fanno guardare, senza una comprensibile inquietudine, l’immediato futuro dei nuovi assetti geopolitici, non molto rassicuranti, ove predominano politiche intimidatorie, che non è azzardato assimilare ad uno stato di natura pre-politico. Politiche irrispettose del diritto comune e dei trattati internazionali, che la dottrina Trump sta prepotentemente imponendo. 

Come altro può definirsi l’irragionevole decisione di Trump di escludere dal tavolo il paese aggredito e l’Europa dal cosiddetto tavolo della pace. E, spostando il focus su altri eventi che stanno caratterizzando le politiche migratorie di Trump, colpisce la franchezza con cui la presidente di Mondadori definisce: “orribile ed inquietante” l’immagine che ritrae file di migranti espulsi in catene dagli Usa. Non appare poi effetto di second’ordine il fatto che la presidente della Fininvest, pur nella sua prudenza formale, non pronunciando mai alcun nome, non faccia di certo emergere piena sintonia con il segretario del suo partito.

E, non solo. In filigrana, non si fa fatica a leggerne anche una aperta critica alle politiche ambivalenti della premier. Eppure non è stato un fulmine a ciel sereno. Già, di recente, Marina non aveva mancato di richiamare il suo partito a politiche più aperte verso i diritti civili ed il rispetto delle regole comuni dello stato di diritto. Nella stessa giornata Tajani ha inteso minimizzare, sostenendo che non si è trattato di un’intervista “politica” ma solo di affermare “un identità culturale dell’editore”.

Eppure non ci vuole molto per cogliere tra le righe una poco tollerata subalternità del suo segretario alle politiche trumpiane della Meloni. Sta di fatto che nonostante la crociata lanciata da Tycoon contro l’Ue per provocarne la totale destrutturazione e ridurla a teatro di nuovi immaginabili futuri conflitti tra le nazioni, ha continuato, smentendo la sua inossidabile vocazione europeista, a sistenere ciecamente la linea di supina sudditanza della Meloni. 

Evidentemente Tajani non ha focalizzato bene i tanti discorsi intimidatori di Vance (ancor più di Trump) ed il senso geopolitico della prossima palese messinscena del tavolo di pace tra Usa e Russia. Strana partita a due, con l’Europa ridotta a terreno di spartizione per nuovi assetti. Purtroppo dovremmo abituarci a questi inediti scenari consumati dentro la cornice di così rapido mutamento epocale che, grazie agli sbalorditivi progressi che sta facendo l’Intelligenza artificiale, ci sta conducendo verso una civiltà post-umana, ove a  predominare sulle nostre azioni saranno aridi algoritmi e una cibernetica senza confini, appannaggio di un oligarchia di turbo-capitalisti protesi in un idea messianica e calvinista, foriera di profonde e inaccettabili disuguaglianze economiche e sociali.

Eppure, in questo momento, scuotono sempre meno le coscienze le politiche fatte di deportazioni ostentate cinicamente (anticipate dalla Meloni con la messinscena dell’Albania), di rivendicazioni ingiustificate di territori, senza rispetto delle libere scelte dei popoli, dalla Groenlandia, al Canada, a Panama, ecc.) e di eclissi della democrazia e dello Stato di diritto, di deportazioni di interi popoli senza riconoscergli più il diritto ad una propria terra.

Azioni pubbliche dove non si vede più un pizzico di umanità. E, mentre si è avviato a Ryad il singolare tavolo tra Usa e Russia per negoziare la pace nel conflitto ucraino, non sono pochi i commentatori che adombrano una sorta di contrattazione spartitoria tra Russia e Stati Uniti, data la presenza di tante risorse rare in quel vasto territorio. Pur nella singolarità di questo confronto diplomatico, mentre attendiamo che il vertice di ieri all’Eliseo abbia schiarito taluni orizzonti ai partner europei su una certa linea comune da seguire,  auspichiamo, nell’eventualità di un’intesa sulla pace, che non si abbiano, per insidie interpretative o per deliberata inosservanza degli accordi, quelle propaggini bellicose che seguirono alla  Conferenza di Monaco del 1938 che portarono il mondo alla seconda guerra mondiale. 

In questo quadro si resta stupefatti nel constatare che quello stesso coraggio di Marina non abbiano saputo mostrare quei partiti-cespuglio (quarta gamba della coalizione) che si dicono centristi, ma che sostengono con convinzione, (forse per obiettivi di sopravvivenza, o qualcuno di visibilità?) le politiche plutocratiche e muscolari suscitate da tanta dottrina, il cui obiettivo è di annientare l’Ue, come organismo geopolitico. Tuttavia, al di là di così disarmante comparazione, che francamente deprime, ci rassicura invece il fatto che c’è anche nel nostro paese una certa destra, sinceramente liberale, pluralista, europeista e umanitaria, pienamente rispettosa delle regole della democrazia e dello stato di diritto verso cui abbiamo il dovere di confrontarci e dialogare per il bene del paese e di un’Europa politica capace di saper portare ben a compimento il suo, finora, difficile processo di integrazione.