Ci sono molti modi per difendere ed ampliare il ruolo dell’ Unione Europa. E dobbiamo perseguirli con lo stesso impegno, e contemporaneamente. Si devono rafforzare e modificare le istituzioni in senso realmente federale. Si deve far crescere la consapevolezza dei cittadini europei con la comunicazione. Bisogna unire le forze in settori dove non lo abbiamo fatto per secoli addietro oltre che – come era naturale – negli ultimi cinquanta anni. Però bisogna anche guardare avanti, comprendere il futuro e posizionarsi nel mondo sapendo cosa ci aspetta.
Uno dei settori dove l’Unione Europea ha cominciato un cammino che guarda avanti è quello dei materiali critici e delle Terre Rare. Potrà apparire un settore secondario e molto specializzato, ma se si guarda a ciò che accade nel mondo e lo si mette nella giusta relazione, così non è.
Ci riferiamo ad un atto che diventerà decisivo mano a mano che gli anni passeranno, ovvero il Critical raw materials act del marzo 2023 che sta entrando nel suo flusso di lavoro in questo anno e che ha come obiettivo quello di rendere il mercato delle materie prime del futuro accessibile e sostenibile.
Non molti hanno compreso il valore di un atto che può avere influenza non solo sulla sostenibilità e sugli impegni del Green Deal ma anche sulla politica estera e sul ruolo che l’Unione Europea potrà spendere nel mondo.
Si tratta certamente di un atto che prende spunto dai problemi creatisi prima con la pandemia e le ristrettezze economiche del periodo, e poi dalla Guerra in Ucraina, quest’ ultima molto più facile da “leggere” visto che in Ucraina e nelle zone dove si combatte ci sono ampie risorse che entrano a pieno titolo nell’ elenco di questo atto UE; ma vedremo che non solo di questo si tratta.
L’ Atto europeo si riferisce ad oltre 30 materiali – minerali tra cui le famose 17 Terre Rare e si pone il problema della autosufficienza dei Paesi Ue, dandosi un obiettivo di garantire che “….Entro il 2030 non più del 65 per cento del consumo annuale dell’Unione di ciascuna materia prima strategica, in ogni fase di lavorazione pertinente, deve provenire da un unico Paese terzo”. Sembrerà cosa facile da ottenere ma non è così. E non è così dunque solo per l’approvvigionamento del Gas dalla Russia, evidentemente. L’Unione Europea dovrà essere quindi in grado di mettere in piedi nei prossimi anni un sistema capace di “estrarre almeno il 10 per cento del proprio consumo annuale di materie prime critiche, di lavorarne almeno il 40 per cento e di riciclarne almeno il 15 per cento”. Quanti sanno che dipendiamo per alcune materie, Terre rare in primis, per il 90 per cento da Paesi Terzi e che per alcune in particolare legate all’ elettronica e al digitale oppure ai magneti, per oltre il 90 per cento dalla Cina o dalla Turchia?
Le materie prime elencate sono 34 e ben 16 sono essenziali per garantire al mercato europeo smartphone, sistemi digitali di guida e di comando, sistemi fondati sull’idrogeno o sull’eolico, batterie elettriche (e quindi auto elettriche) e tutte le innovazioni tecnologiche che vogliano puntare su energie alternative ai fossili e rinnovabili.
Fin qui sembra un dibattito relativo al sistema industriale ed al limite alle risorse energetiche e di ricambio sostenibile dei sistemi industriali, ma al di là del rischio “dipendenza”, che come abbiamo visto dall’inizio della guerra in Ucraina ci tocca direttamente, in realtà la politica estera, la geopolitica e il posto dell’Europa nel mondo sono molto più legate a queste scelte di quanto sembri a prima vista.
Guardiamo per un attimo lontano da noi e spostiamoci in Asia. Quanti ricordano che proprio su una questione di politica estera, le isole Senkaku, ora ufficialmente giapponesi ma rivendicate dalla Cina, è nata una querelle che ha portato al blocco delle Materie critiche e delle Terre Rare dalla Cina che ne dispone per alcune per oltre il 90 per cento dell’ estrazione del pianeta, al Giappone?
La conseguenza è stata interessante economicamente e geopoliticamente: il Giappone ha deciso di fare economia di queste materie riavviando la ricerca e cercando altri produttori (Australia, Myanmar, Usa) ed alla fine ha ridotto l’ importazione al 58 per cento da oltre il 90 per cento precedente.
La Cina non è stata in finestra ed ha dedotto che un monopolio potrebbe anche spezzarsi, decidendo di estrarre di meno (anche per tenere alto il prezzo e la rendita di posizione futura) ed elevando la sua percentuale di raffinazione e produzione del materiale finito.
I Paesi più attenti e soprattutto quelli che con il Pacifico hanno presenza e relazioni stabili hanno anch’essi fatto tesoro dell’accaduto e in soli dieci anni la geopolitica dell’estrazione è cambiata per tutte le Terre Rare ed i materiali critici vedendo in campo nuovi protagonisti tra cui Australia, Canada, Myanmar, India, la Groenlandia ed ovviamente gli Stati Uniti d’ America.
E che dire del confronto continuo tra Stati Uniti e Cina?
Chips sempre più piccoli e raffinati richiedono Terre Rare con cui produrre semiconduttori. Chi ha le terre rare come la Cina ha bisogno di venderle ma anche di conquistare quote di mercato di una produzione che gli Usa ritengono strategica e che li vede primi protagonisti. Non è una trattativa che rimane fissata dal mercato, a cui pure i capitalisti autorizzati dalla Cina fanno ricorso, perché in gioco ci sono chips e semiconduttori che sono il volano del digitale per l’ innovazione delle industrie ma anche per il controllo dei servizi strategici per la società e anche ovviamente per il settore militare e difensivo.
Ecco allora che seguendo il mercato e le quote di produzione, le filiere di “know how” e di relazione tra Stati scopriamo che i contrasti e gli accordi momentanei degli ultimi Presidenti Usa, Trump e Biden, al di là delle simpatie personali ed ideologiche, con la Cina, avvengono alla luce di questi materiali critici e del loro uso.
Senza contare che assistiamo anche all’ interno del mercato ad uno scontro verticale, non solo orizzontale, tra Stati. I capitalisti del digitale, sia in Cina che in Usa, sono altra cosa dai capitalisti della industria classica e perseguono obiettivi diversi che trovano talvolta accordi più nello Stato “concorrente” che non nello stesso proprio Stato nazionale. Il lavoro delle lobbies nei Parlamenti, e in Cina nel Partito, e tra i consiglieri dei leader è incessante e risponde a criteri economici assolutamente fuori dagli schemi dei confini nazionali.
Ecco allora che viene a comprendersi come la questione divenga un asset fondamentale nel futuro di chiunque voglia essere un soggetto protagonista di politica estera e di relazioni tra gli Stati. Si vanno a sovrapporre infatti tre strati di geopolitica diversi: il primo è quello dei Paesi che si occupano dell’ estrazione ed in questo non solo la Cina ma anche alcuni Paesi africani come il Congo, alcuni Paesi del Brics , Brasile e Russia in particolare, oltre ai già citati Myanmar, Australia ed ovviamente Usa. Qui l’Europa deve potenziare la ricerca e l’ estrazione perché in teoria le Terre Rare non sono così scarse anche in Europa, ma vanno raffinate perché estraibili assieme ad altri metalli ed impurità e finora tornava più utile acquistare che impiantare sistemi di estrazione.
Poi lo strato geopolitico che governa la filiera della raffinazione e produzione, in cui c’è sempre – come abbiamo detto – il monopolio cinese ma la vicenda sino-giapponese dimostra come sia possibile intervenire costruendo più filiere che non facciano cadere dalla padella alla brace gli acquirenti mondiali e su cui principalmente si appunta l’ attenzione dell’ Atto europeo.
Infine lo strato di una “nuova” geopolitica, ovvero quello più innovativo – diremmo innovativo per necessità – ed affine all’ Europa, che come gli Stati Uniti d’ America è un grande centro di consumo e dunque ,però, potrebbe far tesoro dei suoi “scarti” industriali e privati riciclando i molti materiali che fanno parte delle strumentazioni elettroniche desuete. In questo senso sono molti i campi di ricerca, ne esiste anche uno avanzatissimo alla Università Bicocca di Milano (progetto RARE ), che scommettono sul riciclo a prezzi “possibili” e prodotti finiti riutilizzabili. Il che vorrebbe dire anche un modo concreto di fare “economia circolare”. In teoria gli spazi sono amplissimi considerato lo “scarto” di materiali tecnologici che le nostre società molto consumistiche offrono. In pratica siamo solo all’inizio, con progetti di ricerca avanzati ma ancora da applicare e poco più di un paio di aziende specializzate per Paese (e in Usa sfiorano in tutto la quindicina di numero). Il futuro è dietro l’angolo ma ancora da conquistare.
E peraltro l’Unione Europea su questo campo cerca di essere anche all’ avanguardia tecnologica con il suo Consorzio EIT che finanzia la ricerca e gli studi del settore e tra di essi anche ricerche che puntano a costruire motori elettrici con magneti, che sono fondamentali per l’eolico e per tutti i motori elettrici in generale, con materiali che siano già presenti in Europa senza farla dipendere dall’acquisto in Stati terzi, come il progetto Passenger.
Questi progetti sono affiancati oggi dalla ricerca di siti dove estrarre Terre Rare e materiali critici che fino a ieri venivano messi da parte per disinteresse dovuto a poca innovazione tecnologica ed anche perché mettere insieme una struttura di estrazione e la filiera dedicata alla produzione, veniva considerato troppo oneroso. È accaduto anche in Italia dove pure alcuni giacimenti sono stati identificati nel tempo tra quelli in uso e quelli abbandonati o scarsamente censiti e ricercati: stiamo parlando soprattutto dell’ arco alpino e della costa Tirrenica e della Sardegna. In tutti vi è presenza di almeno uno o due dei 34 materiali critici indicati dalla Ue e tra di essi delle 17 Terre Rare tra cui, specie in Toscana e Sardegna si segnala il litio, essenziale per le batterie elettriche delle future auto elettriche, almeno fino a quando la tecnologia dell’ idrogeno non sarà stabilizzata (come sappiamo progetti su auto e treni sono anch’essi finanziati dalla Ue e sono anche nel Pnrr).
A qualcuno sembrerà fantascienza e ad altri invece una bestemmia (laica) che questi minerali possano decidere le sorti della presenza dell’ Italia e della Ue nel mondo. O peggio ancora dei rapporti tra Cina e Stati Uniti o delle ambizioni frustrate della Russia.
Tuttavia, è bene ripensare la storia e riviverla anche se la ricordiamo solo tra i banchi di scuola: quando ci sono stati salti di qualità e nuove egemonie? Ricorda qualcosa lo scontro tra armi di ferro e di bronzo oppure l’arrivo dell’acciaio o della polvere pirica? E la conquista dell’America Latina oppure l’avanzare delle ferrovie? La geopolitica non è tutto, certo, ma le condizioni di sviluppo dei metalli e dei materiali critici hanno avuto una parte insostituibile nell’ avventura del genere umano e nella formazione di Nazioni ed Alleanze.
Sarà certamente poco romantico ma, credetemi, una tabella di 34 materiali ed il possesso di 17 Terre Rare sono oggi tra le armi più potenti a disposizione degli Stati e che la diplomazia utilizza come pezzi di una scacchiera nelle relazioni internazionali.
Bene che per una volta l’Unione Europea lo abbia compreso e si sia impadronita di una conoscenza dei mezzi che la pone all’ avanguardia. Parafrasando Napoleone (ma alcuni dicono fosse suggerita da Talleyrand e non fatico a crederlo) con le baionette si può far tutto, tranne che sedervisi sopra e con le Terre Rare ci si può far tutto, oggi nel 2024, tranne che passeggiarci sopra indifferenti.
N.B. Questo piccolo saggio (“Terre Rare e politiche UE”) era stato preparato per il numero di giugno 2024 della rivista di temi europei “Semestre” (Francesco Tufarelli, Monica Didò coordinatori). D’accordo con l’autore, abbiamo deciso di ripubblicarlo visto che mantiene tutta la sua attualità a fronte del dibattito in corso su Trump, Ucraina e Grenlandia.
Per approfondire l’argomento
Comunicato dell’Ue
https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_24_2748
Video animazione
Dhttps://audiovisual.ec.europa.eu/en/video/I-238887
Il testo approvato
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=OJ:L_202401252