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sabato, Marzo 15, 2025
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Trump, Musk, Vance: dall’Europa una prima reazione c’è stata

Qualcuno l’ha definito un “elettroshock”: di certo è una sferzata che non può non porre a chi la riceve qualche interrogativo. Dunque, saprà l’Europa trasformare questa sfida in una opportunità di crescita?

Gli attacchi, ripetuti e scomposti, ricevuti dalla triade oggi al potere negli Stati Uniti daranno un contributo decisivo al faticoso processo di unificazione europea? Questa è la domanda di fondo dalla cui risposta deriverà il futuro non solo dell’Unione ma pure delle singole nazioni europee.

Nel breve volgere di un mese gli Stati Uniti da alleati preminenti ma amici sono divenuti ostili avversari, se non ancora nemici. Non è questo il sentimento di tutto il popolo americano, certo; e non è ancora sicuro che l’attuale momento di avversione nei confronti del Vecchio Continente perduri nel tempo, soprattutto se questa Amministrazione non dovesse riuscire a vincere le presidenziali del 2028.

Ma un mutamento di sensibilità, per così dire, si era già avvertito almeno sin dai tempi della presidenza Obama: questo occorre riconoscerlo. E non solo in ragione del progressivo spostamento di interessi strategici dall’Atlantico al Pacifico, indotto dalla prorompente crescita del Drago cinese registratasi in questo nuovo secolo. È parallelamente cresciuta negli Stati Uniti la sensazione che l’Europa potesse consentirsi un tenore di vita superiore a quello medio degli americani e soprattutto di quelli meno fortunati grazie ad un sistema di welfare finanziato con risorse economiche non impiegate nella Difesa, di fatto invece a carico del contribuente yankee attraverso il finanziamento della NATO. La richiesta che condusse alla decisione di elevare al 2% del PIL di ogni Paese membro il contributo alle spese dell’Alleanza Atlantica nasceva da quella sensazione via via mutatasi in ragionata considerazione prima e in astiosa rivendicazione poi.

Non contava il fatto che la crisi finanziaria, e poi economica, del 2007/8, quella dei cosiddetti subprime, fosse stata dovuta a errori strutturali introdotti nel sistema creditizio statunitense come l’abolizione del Glass-Steagall Act (negli anni novanta, presidenza Clinton) e che avesse colpito in maniera durissima l’Europa tutta. Contava solo il fatto che la ripresa americana necessitava di una potente immissione di risorse, che quindi dovevano essere impiegate in casa propria e non altrove, e dunque non più – non più in quella dimensione – in Europa, al netto di ogni ulteriore (e comunque ben presente) considerazione geopolitica.

Tutto questo per dire che le accuse di Trump, per quanto sgradevoli e irrispettose hanno avuto un’incubazione lunga, almeno ventennale. Quando sostiene che “la UE è stata creata solo per fregarci”, con tipica volgarità yankee The Donald semplifica in maniera esemplare il pensiero al quale sono ormai approdati molti americani, anche di origini europee. E quando il suo vice, JD Vance, alla Conferenza di Monaco si presenta annunciando all’esterrefatto uditorio che “è cambiato lo sceriffo in città” e che quindi da ora in avanti “l’Europa deve fare grandi progressi verso la capacità di difendersi da sola”, non solo conferma il rude linguaggio del suo capo ma se possibile lo indurisce in quanto lo proietta in avanti: lui ha 40 anni in meno del Presidente, ciò significa che la nuova generazione politica a stelle e strisce, che ha vissuto in età giovanile il degrado indotto dalla globalizzazione in così larga parte della società americana (così ben narrato nel suo bestseller Elegia americana), quanto meno quella che si è appassionata all’idea del Make America Great Again, nutre un forte risentimento verso il mondo esterno e verso quello europeo in particolare, colpevole – oltre che di un declino etico assai grave – di un livello di vita troppo elevato per quelle che sono le sue effettive possibilità economiche: quindi, adesso, “arrangiatevi”.

Qualcuno lo ha definito un “elettroshock”: di certo è una di quelle sferzate che, per quanto eccessive, non possono non porre a chi le riceve qualche interrogativo di fondo. E dunque, di nuovo, saprà l’Europa trasformare questa sfida d’oltreoceano in una concreta opportunità di crescita? Il Libro bianco sulla Difesa è una prima risposta. Ma altre, in altri ambiti, dovranno esservene. E certo non fra troppo tempo. A cominciare da quelle ai ventilati dazi commerciali.