Nel giorno in cui le piazze italiane si riempiono di cittadini che chiedono una accelerazione dell’integrazione europea, appaiono ancor più evidenti e ingombranti i nodi irrisolti che ne ostacolano il percorso e che impediscono all’Unione Europea di dare risposte adeguate alle sfide di questo cambio d’epoca che stiamo attraversando, e di ritagliarsi una collocazione significativa sulla scena globale.
Il punto di partenza per cambiare marcia e per una svolta, non può consistere solo in un ripiegamento sulle procedure interne di riforma, avulso dai tempi dettati dal ritmo con cui procede la storia. Gli altri, il Resto del Mondo, ma pure gli attuali Stati Uniti, non stanno ad aspettare che l’Ue completi l’iter di riforme di cui necessita nei vari ambiti. La risposta va data nei tempi che non è, non è più solo, l’Europa a poter fissare, ma che sono determinati da processi più grandi. Se, come ci avverte Mario Draghi, l’Ue vuole rimanere al passo con i tempi, deve riuscire, in un mondo o nell’altro, ad agire come se fosse un solo stato nelle politiche economiche e di bilancio, nella ricerca, nella difesa.
Quest’ultimo tema, la sicurezza, è quello che raccoglie maggiore attenzione a causa sia della guerra in corso in Europa, sia della linea di progressivo disimpegno dalla difesa dell’Europa e di contestuale ritorno al dialogo con la Russia, espressa dalla nuova Amministrazione americana.
Sulla difesa comune abbiamo assistito a un dibattito che ha per molti aspetti,del surreale. Perché le opzioni in mano all’Ue sono in realtà meno di quelle ventilate nel dibattito. Servono una buona dose di realismo e un supplemento di visione. Com’è facilmente constatabile, gli sforzi compiuti per rafforzare la difesa europea, e raccolti nel piano della Commissione Europea, si possono tradurre solo, per ora e per molti anni a venire, in una maggior capacità di spesa militare degli Stati membri, in parte a debito e in gran parte risultante dal taglio alla spesa per il welfare, le infrastrutture e lo sviluppo civile dei popoli europei. E in un potenziamento degli apparati di difesa nazionali (compreso quello tedesco), mancando le istituzioni e le procedure per il comando di un esercito europeo, per l’utilizzo di un arsenale comune, specie se anche atomico, e addirittura per il reclutamento e la mobilitazione dei cittadini alle armi in caso di nuove crisi, che continuerebbero a vedere nella Nato l’unico strumento di difesa credibile.
E insieme a questa sopravvalutazione degli immediati effetti operativi di una pur alquanto auspicabile difesa europea, si assiste a un preoccupante deficit di visione circa gli obiettivi della difesa comune e, più in generale circa il ruolo dell’Ue nel mondo che sta procedendo verso un nuovo multilateralismo, invocato da tempo dal Resto del Mondo, e ora con l’esplicito consenso degli Stati Uniti, ma con la posizione ancora enigmatica del Regno Unito.
Occorre che noi europei ci interroghiamo di più sul fatto che sono passati 80 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e che l’equilibrio che ne è uscito, oggi appare superato nelle istituzioni internazionali, mentre rimane validissima la Carta della Nazioni Unite.
Il mondo è alla ricerca di un nuovo modello di governance. La stessa iniziativa dei Paesi Brics, pur con qualche stonatura, costituita principalmente dalla Russia,, si propone fondamentalmente di riformare e non di sovvertire l’ordine mondiale. L’orizzonte della difesa europea dev’essere questo. Altrimenti rischia di consumarsi in una annosa faida fratricida nel bassopiano sarmatico, mentre il Resto del Mondo galoppa verso il futuro.
A tal fine non credo aiutino narrazioni che amplificano le colpe di momentanei avversari fino a non riconoscere più in loro razionalità e desiderio di pace, che rischiano di impedire all’Unione Europea, o perlomeno al suo cuore francese, di progettare il tempo successivo alla guerra come quello propizio per costruire una nuova architettura di pace, cooperazione e sicurezza in Europa, e che rischiano infine, di impedire di vedere altre soluzioni al conflitto in corso al di fuori di quella militare, con tutti i rischi e i costi umani ed economici che ciò comporta.