Le ultime settimane sembrano uscite da un romanzo distopico. Marine Le Pen ci informa di avere come modello Martin Luther King e chiede di salvare la democrazia, annullando una sentenza della magistratura francese, basata su una legge che lei avrebbe voluto più dura. Elon Musk, maître à penser del trumpismo, al congresso della Lega chiede un futuro senza dazi – pur branditi dall’amministrazione Usa di cui fa parte. Trump ci spiega che per evitare i dazi (ieri sospesi per 90 giorni, a sorpresa, provocando un recupero del Nasdaq di oltre 12 punti) l’Ue deve comprare “energia” made in Usa per 350 miliardi di dollari e ci spiega anche l’approccio dei leader nei suoi confronti con termini da bettola. Quindi ci ricorda il suo lavoro per la pace in Ucraina, obbligando Zelensky ad accettare le condizioni di Putin, il quale continua a bombardare civili in Ucraina e a dare ospitalità ad autocrati in crisi: dopo il siriano Assad anche il serbo-bosniaco Dodik è a Mosca.
Nel mondo reale le prime stime parlano di 380 miliardi – solo lato Ue – di beni messi nel mirino dalla politica dei dazi, per questo Goldman Sachs ha alzato la probabilità di recessione degli Usa al 45% nei prossimi 12 mesi. Le borse mondiali hanno visto giorni di profondo rosso in stile Dario Argento. Centri studi e associazioni invitano la politica a valutare le conseguenze delle ipotizzate tariffe doganali su indotto, aumento di prezzi e disoccupazione. I servizi segreti tedeschi lanciano un duplice allarme: da un lato, gli indizi di un attacco russo ai Paesi Baltici, dall’altro le relazioni fra servizi russi e gli attentati che hanno insanguinato la Germania negli ultimi mesi.
In questo contesto, travolta dalla minaccia di dazi da Ovest e dal conflitto ad Est, Bruxelles deve saper reagire meglio. Ma servono, nelle capitali, governi affidabili e credibili. Solita eccezione, la politica italiana. Se sul lato opposizione, ci si è ormai rassegnati a un Pd ridotto a megafono del filorussismo dei Cinque Stelle, ben altro ci si aspetta da chi decide la politica estera e di difesa del terzo Paese europeo. E, invece, Salvini e la corte di economisti quasi esultano per i dazi, chiedendo accordi bilaterali, Tajani corre ai ripari per impostare una strategia unica europea e la Meloni corre da Trump, noncurante delle conseguenze che questo avrà con i suoi colleghi europei. Il voto del 2022 è stato chiaro. C’è un’ampia maggioranza di centrodestra. Questo non implica l’immobilismo di un governo in conflitto permanente. Il possibile ritorno di Salvini al Viminale preoccupa gli osservatori internazionali: vista la pesante infiltrazione russa nella politica europea, avere un interlocutore ritenuto amico di Mosca e parte integrante della corrente sovranista mondiale, in un centro di potere sensibile non aiuta a fidarsi dell’Italia.
Ci si inizia a chiedere quanto tempo dovrà passare per trovare, a Roma, soluzioni che, partendo dalla maggioranza di centrodestra, sappiano unire responsabilità e realismo, europeismo e credibilità, rappresentanza elettorale e affidabilità internazionale. Serve capire che per fare gli interessi italiani, è necessario tenere la barra dritta, senza cadere nella tentazione di sirene trumpiane o peggio ancora putiniane, che metterebbero a dura prova la tenuta sociale del Paese e dell’Europa. Non si tratta di mettere in discussione il bipolarismo, ma della necessaria marginalizzazione di estremismi nocivi. Non si auspica un ribaltone ma una revisione della linea politica, considerate le condizioni diverse di oggi rispetto al settembre 2022. Il futuro si costruisce a partire da politica estera, investimenti in difesa e sicurezza interna, anche cyber sicurezza, contrastando la disinformazione. Per questo, in un Paese serio non può esserci spazio né per fantasiosi sedicenti pacifisti che ripetono le linee guida della propaganda russa, né per chi, pur di tenersi legato alla internazionale sovranista, rischia di infliggere sacrifici alla sua stessa base elettorale. Se l’Italia non cambia presto la rotta, il rischio di un brutto risveglio fatto di crisi economica e tessuto sociale sfibrato è dietro l’angolo, con l’aggravante di un isolamento politico internazionale mai visto finora.