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sabato, Maggio 3, 2025
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Franceschini, i brigatisti e la morte di spalle

Lo spessore di questi rivoluzionari va tutta letta in quello che hanno combinato durante e dopo la stagione di sangue. Senza un’arma in mano è venuta fuori tutta la inconsistenza e miseria delle loro persone.

Giorni fa è morto Alberto Franceschini, esponente di prima fila delle Brigate Rosse di un tempo. Pace all’anima sua, anche se tutti i protagonisti dell’epoca dovrebbero consumarsi la vita nel prendere le misure al delirio di cui furono in preda.

Per loro, tranne quelli afflitti da idiozia o ignoranza, non c’è scampo alla revisione delle loro imprese, ferma peraltro la consapevolezza di essere stati soltanto dei desolanti strumenti in mano ad altri di cui non si saprà mai. Per questo dovrebbero ancor più tormentarsi e smontare la presunzione e il super ego di cui erano afflitti.

Rileggendo i “Ritratti del coraggio, lo Stato italiano e i suoi magistrati” a cura di Stefano Amore, Nuova Scienza casa editrice, si ha un quadro impressionante dei magistrati che hanno dato la vita per difendere la loro fedeltà allo Stato e ai valori a cui hanno giurato fedeltà.

Nel libro è stata riportata la storia di 28 magistrati che dal 1960 fino al 1993 sono stati giustiziati da mano mafiosa o di terrorismo. Ciascuno di questi eroi è stato raccontato da altri colleghi magistrati che ne hanno descritto la condotta in vita oltre al carattere della persona e le qualità professionali.

In corso di lettura c’è un dato che impressiona e che costituisce un discrimine tra i morti per mafia e quelli per chi aspirava a sovvertire l’ordinamento democratico dello Stato, immaginando chissà quale rivoluzione da parte del popolo.

SI tratta di numeri che malgrado la loro aridità possono dire qualcosa e far riflettere. Su 28 figure descritte nel testo, solo 2 magistrati sono stati uccisi da uno squilibrato o per vendetta a causa di una sentenza ritenuta ingiusta.

Per il resto, ben 21 magistrati si sono mossi senza scorta, rinunciando alla protezione, così come il caso di Girolamo Tartaglione perché diceva “è come viaggiare a 150 all’ora in autostrada e se scoppia una gomma sei morto, non c’è niente che si possa fare”; un modo articolato per non esporre al pericolo il personale addetto alla sicurezza che avrebbe dovuto proteggerlo. Ancora, si contano 3 toghe che si sono semplicemente avvalse di un agente o di un autista che li conducesse al lavoro.

Delle 14 vittime di mafia o di ‘ndrangheta solo 2 sono state eliminate con colpi di mitra o lupara vilmente alla schiena. In una qualche misura anche da quelle parti si è tradito uno spietato codice d’onore.

Discorso diverso per chi è caduto per mano del terrorismo. C’è chi ha trovato la morte da azione brigatista mentre era a bordo di un autobus, come nel caso di Girolamo Minervini, o ne attendeva uno alla fermata, come accaduto a Mario Amato, giustiziato dal terrorismo nero. Si andava insomma al lavoro senza fanfare e senza auto blu, con la semplicità di qualunque uomo di strada.

Nell’elenco delle figure prese in esame dal libroin argomento, si legge che sul fronte del terrorismo Prima Linea si è distinta per 2 uccisioni, i Comunisti Combattenti per 1 assassinio al pari di Ordine Nuovo e NAR.

Menzione speciale meritano però in questa tragica scia di sangue le Brigate Rosse.

Delle 5 loro spietate esecuzioni, ben 3, oltre dunque la metà, sono state compiute facendo fuoco alle spalle del magistrato individuato come servo dello Stato e quant’altro ancora riconducibile alla retorica rozza e farneticante dell’epoca.

Hanno sparato alle spalle, sparpagliando bossoli e morte con la vigliaccheria di squallidi criminali, spargendo ovunque il loro triste fanatismo ed un odio insensato a cui si è opposta la società civile di allora.

Anni prima una canzone recitava: “Guardati alle spalle c’è qualcuno che ha un pugnale in mano per colpire te, sai come si chiama quel pugnale lì, si chiama amore…”. Non è stato l’amore ma la follia e la pochezza intellettiva e culturale ad ispirare quei rivoluzionari da strapazzo, responsabili di indecenti gesta di mattanza di uomini innocenti.

Pallottole arrivate alla schiena del bersaglio, perché quella era il codardo ardire di cui disponevano gli autori per schienarlo, per schierarsi così in più dalla parte degli infami. Ecco dunque il coraggio di quanti volevano essere i paladini di una sorta di un nuovo mondo che evidentemente sapevano descrivere unicamente di spalle, procedendo in vita, per la maggior parte, senza mai guardare in faccia il prossimo e tantomeno guardare in faccia la realtà di un Paese che li rifiutava e che non si sollevò affatto contro il potere costituito.

Lo spessore di questi rivoluzionari va tutta letta in quello che hanno combinato durante e dopo la stagione di sangue posta in essere. Senza un’arma in mano è venuta fuori ancor più tutta la inconsistenza e miseria delle loro persone. Colpisce in particolare come uno di essi, ad esempio, prima di essere arrestato in Thailandia, campava lavorando squallidamente nel mondo del porno. Non merita neanche ne sia citato il nome.

Il 1 maggio è appena stato il giorno dei Lavoratori. Non potranno festeggiarlo quei magistrati che hanno pagato con la vita la loro dedizione al lavoro. Sta a noi ricordarli con la gratitudine che meritano.