Lo possiamo definire, pur senza enfasi, un provvedimento storico per il mondo del lavoro, per le imprese e per l’intero Paese.
L’approvazione definitiva al Senato della cosiddetta “legge Sbarra” – come l’ha chiamata la Cisl – cioè l’applicazione dell’articolo 46 della Costituzione, inerente la partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese, segna una straordinaria vittoria per la cultura riformista del nostro Paese.
Una legge nata per volontà della Cisl, lo storico “sindacato bianco”, grazie a una mobilitazione durata due anni nel Paese e fra i lavoratori italiani.
Certo, è una legge che rappresenta anche una svolta culturale oltreché normativa. E questo perché, per la prima volta, il legislatore riconosce la partecipazione non solo come opzione astratta ma, al contrario, come motore concreto capace di rilanciare i salari, la produttività, la sicurezza e il benessere lavorativo, la legalità e la giustizia sociale.
Un modello di contrattazione dal basso
Al contempo, si valorizza la contrattazione come leva fondamentale per gli accordi partecipativi costruiti dal basso, nei luoghi di lavoro, e incoraggiati da incentivi economici alimentati dal fondo dedicato alla partecipazione, dotato dal Parlamento di 71 milioni.
Un modello inclusivo, quindi, che non esclude nessuna impresa e che rafforza la coesione, la corresponsabilità, la formazione e il dialogo. Valori indispensabili per affrontare le sfide dell’economia globale e della transizione produttiva.
Certo, adesso la legge – di straordinaria importanza politica, culturale e sociale – va applicata. Sarà necessario, come ha sostenuto giustamente la Cisl, vigilare affinché diventi un’opportunità reale in ogni azienda del nostro Paese.
Chi ha votato sì, chi ha detto no
Ma ci sono due elementi che non possono essere sottovalutati all’indomani dell’approvazione di questa legge. E cioè: chi l’ha approvata e chi non l’ha approvata. Hanno detto sì i partiti della maggioranza di governo e i partiti centristi di Calenda e anche quello di Renzi, anche se fa parte del cosiddetto “campo largo”.
Hanno votato no il partito populista per eccellenza dei 5 Stelle, quello della sinistra estremista e ideologica del trio Fratoianni/Bonelli/Salis, mentre il PD della Schlein si è astenuto. Ecco, questo provvedimento ha confermato – per chi non l’avesse ancora capito, e in modo persino plateale – qual è il profilo politico, culturale e programmatico dell’attuale sinistra italiana.
Una coalizione che, a differenza dell’antico centro-sinistra, evidenzia una radicale mancanza di cultura di governo e, soprattutto, un accento fortemente massimalista e radicale. La battaglia condotta da quasi tutta la sinistra – il PD è stato quasi obbligato ad astenersi solo per non scontentare eccessivamente la componente riformista interna – contro questo provvedimento certifica lo spostamento definitivo di questa alleanza su posizioni massimaliste e radicali.
Due modelli sindacali a confronto
In secondo luogo, la legge sulla partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese segna la distanza profonda tra un sindacato autenticamente riformista, plurale e rappresentativo della volontà dei lavoratori, e un sindacato – la CGIL – che vive questa stagione all’insegna di una secca militanza politica e partitica, supportando di fatto la costruzione della futura alleanza progressista e sinistra alternativa al centrodestra.
Cioè svolge un ruolo esclusivamente politico, se non addirittura partitico, con scarsa attenzione a tutto ciò che è riconducibile al ruolo e alla missione di un sindacato.
Una legge per la cultura di governo
Per queste ragioni – semplici ma oggettive – l’applicazione e il voto dell’articolo 46 della Costituzione non possono passare inosservati per chi crede ancora in una cultura riformista, democratica, sociale e autenticamente di governo.
Comunque sia, e al di là di qualsiasi valutazione, dobbiamo soltanto fare un solo e grande ringraziamento. Alla Cisl.