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lunedì, 19 Maggio, 2025
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Rating, debito e democrazia: il pluralismo è un bene comune

Moody’s declassa gli Usa e avverte: quando la dialettica tra politica ed economia scarta in direzione di un “potere forte”, nei mercati s’insinua la preoccupazione per scelte di governo segnate da convenienze.

Quel Proteo che ha il nome di capitalismo s’adatta alla storia ma pretende anche di modificarla e subito dopo, avendola modificata, vi si conforma. È un movimento che non conosce tregua, ma esige comunque una fonte di regolazione. Difficile accorgersene, tuttavia è così.

Con il declassamento deciso da Moody’s, gli Stati Uniti perdono anche l’ultima tripla A rimasta in piedi dopo che anche Standar & Poor’s e Fitch avevano provveduto a farlo. Ma la notizia è meno tecnica di quanto sembri. In gioco non c’è solo il livello del deficit o la traiettoria del debito, bensì anche la credibilità dello Stato. Il mercato – e Moody’s lo dice apertamente – non teme tanto la spesa pubblica in sé, quanto l’indebolimento dei presìdi che garantiscono la trasparenza e la correttezza nella sua gestione.

È questo il punto più interessante messo in evidenza da Federico Fubini sul Corriere della Sera di ieri (Con l’addio alla tripla A la leadership americana ora rischia di indebolirsi). Egli riporta il giudizio della prestigiosa agenzia di rating sulla solidità del sistema americano: esso “tiene conto delle caratteristiche istituzionali, inclusa la separazione dei poteri tra le tre branche del governo (esecutivo, legislativo e giudiziario) che contribuisce all’efficacia delle politiche”. 

È un passaggio che suona come un monito. Moody’s riconosce che il deficit Usa è frutto di scelte trasversali a più amministrazioni o poteri pubblici, ma esprime preoccupazione per la curvatura autoritaria in corso, avvertendo che eventuali forzature di Trump, pure con lo svilimento del ruolo del Congresso, potrebbero determinare ulteriori declassamenti.

Il messaggio è chiaro: il pluralismo istituzionale non è un ostacolo, ma un asset politico. È la cornice che rende credibile, agli occhi del mondo, la capacità di un Paese di onorare i propri impegni. Dove mancano contrappesi e organi indipendenti, anche la più ambiziosa politica di bilancio perde un che di legittimità. Il capitalismo, se inteso come sistema produttivo e finanziario globale, non si regge solo sul profitto ma su un minimo di ordine razionale e di equilibrio tra le parti.

Solo quando esiste un rispetto per la funzione regolatoria e di vigilanza, l’economia trova il giusto puntello e il debito pubblico mantiene un adeguato livello di trasparenza. Quando invece prevalgono modelli o tendenze di tipo autoritario, l’accentramento porta con sé opacità, incertezza, arbitrarietà. Il mercato, allora, si ritrae.

La lezione che viene dagli Stati Uniti interpella l’Europa. Difendere la democrazia non è solo un dovere civile e morale: è una condizione per rendere le politiche economiche credibili e sostenibili. In questo senso, tutto il complesso dei checks and balances non è un sovrappiù generato da un pensiero politico astratto. Piuttosto, a guardar bene, è vera garanzia di libertà e presidio del bene comune. Lo dice anche il rating.