Ha suscitato il meritato scalpore il video della Sindaca appena eletta a Merano che al momento del passaggio di consegne dal suo predecessore Dario Dal Medico si è sfilata la fascia tricolore appena indossata e l’ha posata su un tavolo, accettando solo la simbolica chiave della città. È stato un gesto immortalato nella foto pubblicata sui quotidiani ma che ha fatto il giro dei TG locali e nazionali fino a diventare virale sul web, la stessa presidente Giorgia Meloni – che in precedenza aveva evocato, con l’accordo dell’SVP, l’importanza di accostare le parole ‘Alto Adige’ a quelle ‘Sud Tirol’ – si è sentita in dovere di stigmatizzare il fatto, richiamando il valore storico e simbolico del tricolore che rappresenta l’unità nazionale.
Non è retorica di Stato quella richiamata dalla premier ma la stizza con cui Katharina Zeller ha rifiutato la fascia bianco-rosso-verde non sembra solo una momentanea reazione ad una asserita imposizione ‘maschilista’, ‘provocatoria’ o ‘della destra’: il passaggio di consegne alla guida dell’amministrazione comunale (ma a qualunque livello delle istituzioni democratiche, come per la ‘campanella’ a Palazzo Chigi) esplicita un rituale fatto di gesti, parole e strette di mano e quella fascia che passa di spalla in spalla rappresenta una continuità sotto l’egida di una patria che tutti dovrebbe accomunarci.
Ricordando quanto avvenuto al Brennero nel 2022 quando i rappresentanti della Süd-Tiroler Freiheit coprendo il cippo di confine avevano affermato “rendiamo invisibile questo confine dell’ingiustizia, dimostrando che non siamo al confine ma in mezzo al Tirolo. L’Italia non c’entra nulla con il Brennero”. Peccato che l’Austria non abbia mai espresso rivendicazioni di annessione, ma la politica locale dovrebbe chiarire perché mentre si ricevono fondi da Roma si chiede la protezione di Vienna.
Peccato che la politica italiana si riservi certe valutazioni solo in occasione di episodi come quello di Merano (in realtà ce ne sono ben pochi perché nella Province autonome di Trento e di Bolzano si sta molto attenti a rispettare gli aspetti formali del mandato politico) senza una preliminare e attenta considerazione del concetto di ‘autonomia’, riconosciuto a partire dall’accordo De Gasperi-Gruber del 1946 e tratteggiato nella sua architettura istituzionale da Giulio Andreotti come lui stesso mi aveva spiegato, circostanza poi confermatami da un autorevole senatore della Stella alpina. Sarebbe dunque meglio palesare le conseguenze anche mediatiche di gesti di insofferenza che possono urtare la suscettibilità delle minoranze linguistiche o comunque provocare polemiche evitabili a priori.
Peccato che il Presidente Arno Kompatscher nella dichiarazione riportata dal quotidiano Alto Adige abbia spiegato il gesto della neo sindaca evocando motivazioni suggestive. Peccato che un partito come la Lega abbia guidato la revisione dello Statuto dell’Autonomia senza porsi domande su cui altri partiti del governo nazionale si interrogano da tempo. Peccato per il silenzio imbarazzante del Pd su questo episodio dall’alto valore simbolico, pur avendo contribuito con i propri voti all’elezione della sindaca SVP. Sono trascorsi decenni dai tempi dell’aneddotica tramandata – a torto o a ragione – di quel cartello affisso alla porta del bagno di un esercizio pubblico – ’vietato l’ingresso agli italiani e ai cani’- così come sono archiviati gli anni del terrorismo contro le caserme dei carabinieri: veleni che andrebbero rimossi da ambo le parti.
Resta però di sottofondo un atteggiamento in parte condiviso che va dalla diffidenza all’ostracismo. Si consideri ad esempio come mancanza di rispetto verso la popolazione residente di madrelingua italiana la recente campagna elettorale per il rinnovo dei consigli comunali in alcune località, con volantini e programmi scritti dai candidati-sindaco solo in tedesco.
Entrando nell’ambulatorio di un servizio sanitario la prima domanda che viene posta a chi parla italiano riguarda la propria residenza. Eppure proprio in questi giorni il Presidente Mattarella – parlando al Festival delle Regioni e Province Autonome ha invitato a “superare intollerabili divari tra i diversi sistemi sanitari regionali e garantire una copertura universale e un accesso uniforme alle prestazioni sull’intero territorio della Repubblica, obiettivi irrinunciabili di un Servizio sanitario nazionale”.
N.B. – Ieri a tarda sera, ospite di Piazza Pulita (La7), la sindaca Zeller ha voluto chiarire le ragioni del suo gesto: non c’era volontà di offesa alla Repubblica. Ne prendiamo atto, anche se un certo equilibrismo troppo sofisticato lascia comunque un retogusto di diffidenza.