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lunedì, 16 Giugno, 2025
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Trump e l’arte del disordine: dove va l’America?

Dalla gestione delle guerre a quella dei dazi, la presidenza Trump continua a sorprendere per l’assenza di coerenza e strategia. E ora si affaccia persino lo spettro di una guerra civile strisciante.

Un reality senza fine

Non ammettere mai di aver sbagliato, non ammettere mai di aver perduto, sostenere sempre e comunque di aver fatto la cosa giusta e che questa genererà “grossi” utili per tutti quelli che se lo meritano e gravi danni per chi, a sua volta, se li è cercati. Tutto lo sconcertante attivismo di Donald Trump ruota intorno a questi suoi dettami comunicativi, oggi da Presidente del primo stato del mondo così come ieri da conduttore televisivo di un reality show, come se non ci fosse poi una gran differenza fra le due attività.

La realtà, naturalmente, è un’altra cosa ma The Donald non sembra volersene preoccupare. Aveva detto, col suo fare da bullo, che arrivato lui le guerre che solo l’imperizia del suo predecessore non aveva saputo impedire – in Ucraina e a Gaza – sarebbero presto finite, quella in Europa addirittura entro poche ore dal suo insediamento. Ha immaginato di farle terminare con qualche telefonata: a Putin, a Netanyahu che è stato pure ricevuto in pompa magna nello Studio Ovale.

Dazi, guerre e social: la politica arrembante di The Donald

Ogni volta ha voluto far sapere al mondo – attraverso questi dannati messaggi via social che ormai in ogni luogo hanno sostituito le riflessioni un po’ argomentate che una volta la Politica richiedeva ai suoi protagonisti – che i colloqui erano andati bene e le cose si sarebbero presto risolte.

Uno schema adottato anche nella gestione dei dazi: annunciati, rinviati, rimodulati, reimposti, riconfigurati…

Un caos il cui unico risultato, oltre a una gran confusione che ha sconcertato tutti e innervosito i mercati finanziari, è che gli interlocutori più forti e più preparati hanno poi ottenuto quello che volevano (o quasi): così per Xi Jinping per i dazi, così per Putin per la guerra, così per Bibi Netanyahu. Quest’ultimo non solo per quanto riguarda Gaza, ma ora anche per quanto concerne l’Iran. Circostanza per la quale il tycoon si è superato dicendo prima di non aver saputo dell’imminente azione pianificata da Israele contro i siti nucleari degli iraniani per poi ammettere di esserne invece a conoscenza, pur senza avervi partecipato.

Ma era d’accordo o invece non lo era e ha poi fatto buon viso a cattivo gioco? Non lo sapremo mai, probabilmente. Ma di certo sappiamo che ora egli la rende parzialmente sua dicendo che è stato “un gran successo” dovuto anche all’utilizzo di “equipaggiamento americano”. E così nel suo dire una cosa e poi il suo contrario offre addirittura l’idea di aver fatto il doppio gioco, nel portare avanti una finta trattativa con Teheran nel mentre Israele stava preparando il suo attacco.

E ora il dubbio – per molti la certezza – è che egli voglia, guidato da Bibi, cogliere l’opportunità di quel “regime change” a Teheran che da oltre quattro decadi gli americani sognano senza poterlo concretizzare.

Il pericolo interno: verso una guerra civile strisciante?

Non c’è più quindi una linea politica lineare, consolidata, sicura e diventa impossibile per i tradizionali alleati degli Stati Uniti comprendere per tempo cosa passi per la mente del loro Comandante in Capo. Molto più facile, invece, per politici esperti e abili – come Putin e Xi – assecondare in termini generali il loro interlocutore per poi fare quello che essi vogliono.

Donald Trump aveva annunciato la pronta conclusione di due guerre, ora se ne ritrova a dover affrontare una terza. Non solo. Se prosegue così, con l’utilizzo della Guardia Nazionale e dei marines nella gestione della normale sicurezza interna, rischia di aprirne una quarta, la più pericolosa perché attenta alla democrazia statunitense: una guerra civile strisciante in un’America sempre più divisa, pervasa da sentimenti d’odio che armano le menti e gli arti di estremisti e invasati d’ogni genere il cui target, ora, divengono nientemeno che i parlamentari, ovvero i rappresentanti del popolo sovrano.

Tempi bui e cupi per il mondo. E per gli Stati Uniti d’America.