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venerdì, 20 Giugno, 2025
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La declinazione al futuro del popolarismo: una riflessione necessaria

Come ricostruire una presenza autonoma dei Popolari nel contesto italiano e europeo, tra sfide politiche, alleanze e una nuova visione culturale e sociale? L’alternativa alla destra non passa per la sudditanza alla sinistra.

Le premesse politiche e culturali

Nel dibattito sul futuro della cultura politica del Popolarismo in Italia, sviluppatosi sul Domaniditalia anche dopo il documento firmato da Fioroni e D’Ubaldo, sono emersi alcuni punti importanti di discussione. Provo a dire al riguardo la mia opinione.

Parto dai due punti che ritengo i più facili.

Primo. Una rinnovata presenza del Popolarismo in Italia non può nascere dalla aspirazione ad esercitare un ruolo di “moderazione” della Destra al potere, sulla scorta del motto: seguiamo il vento, ma da moderati.

Questa Destra può modernizzarsi; contenere più che nel passato le sue pulsioni più estremiste; contare su una leadership di indubbia capacità e scaltrezza come quella della Presidente Meloni. Tuttavia rimane intrinsecamente alternativa ai valori della nostra tradizione culturale e politica. Non è dunque in questo Campo che il Popolarismo può pensare di riorganizzarsi, se non accettando un suo irreversibile mutamento genetico.

Secondo. Il Popolarismo può rigenerarsi se si pensa ed agisce come soggetto politico autonomo. Dotato cioè di una sua specifica soggettività, che esista in quanto tale, a prescindere dai suoi eventuali alleati. Del resto, per allearsi occorre esistere.

Alcuni amici auspicano, partendo da questo principio, una presenza nazionale elettoralmente “a sé stante”. Ipotesi che può essere considerata, certo, però ove ne avesse ragionevolmente la forza e ove i sistemi elettorali ed il quadro politico lo consentissero. In questo momento, queste condizioni in Italia non mi paiono sussistere.

A meno di non voler fare solo “testimonianza”, si pone dunque la necessità di “abitare” un campo comunque coalizionale.

Osservo peraltro, con riferimento ai sistemi elettorali, che la questione delle alleanze (come emerge dalla storia delle esperienze popolari italiane, compresa quella della DC) varrebbe in ogni caso, prima o dopo il voto degli elettori che sia: Degasperi e Moro, per tutti, lo hanno indicato con chiarezza e talvolta con sofferta difficoltà. Della serie: il proporzionale puro non esime le forze politiche dalla necessità di dichiarare con sincera trasparenza programmi, visioni e potenziali alleati compatibili. Questo, al di là dei sistemi elettorali, fa parte integrante della Politica ed è cifra innata nella ricerca di un consenso consapevole e responsabile, non effimero e di breve momento.

L’autonomia dei Popolari e la questione del PD

Ci sono poi altri punti meno facili sui quali riflettere.

Primo. I Popolari hanno sempre testimoniato una “cultura della coalizione”, appunto. Ma essa non può certo tradursi nell’essere satelliti etero diretti da altri. Al di là dei rapporti di forza del momento, questo esige il riconoscimento e l’esercizio della dignità di soggetto politico autonomo. Una rinnovata presenza Popolare non può essere dunque una sorta di listarella vagamente civica, che faccia da semplice corollario, per puri fini elettorali, ai “Partiti” che invece abbiano la pretesa di costituire il “cuore politico” di una coalizione.

Secondo. La questione del PD e della sua natura originariamente ispirata ad una rappresentanza anche del filone popolare. Al riguardo, è inutile recriminare sul passato. Molti degli amici che oggi rivendicano uno spazio politico popolare autonomo, hanno condiviso, al tempo, la costruzione del PD.

Personalmente non ho mai condiviso la “reductio ad unum” delle culture politiche riformatrici del nostro Paese. Ho creduto e continuo a credere (col massimo rispetto di chi ha fatto questa scelta) che sia stato un errore. E non solo per la tradizione del Popolarismo.

Oggi il PD comunque esiste, anche con la sua componente minoritaria di origine popolare: ne va preso atto.

La ragione politica oggi prioritaria (sconfiggere questa Destra; ridare anima e forza alla Democrazia; costruire in prospettiva nuovi scenari di rappresentanza politica) richiede che i Popolari che non sono nel PD non fondino le proprie aspettative sulle congetture di scissione di quel partito, che peraltro non si scorgono all’orizzonte, se non limitatamente a qualche singola persona, ma si occupino di organizzare la “loro” presenza.

“Et et”, come si diceva un tempo. Chi è nel PD ed intende restarci, lavori per un nuovo bilanciamento riformista del suo partito. Chi non lo è lavori per costruire una nuova soggettività politica autonoma, rivolgendosi soprattutto a quella metà e più di italiani che non votano o votano a Destra perché non ritengono credibile la proposta di “questa” opposizione.

Terzo. Avere contezza dei tempi, delle fasi e delle componenti del percorso. Inutile e fuorviante, a mio parere, dividersi tra chi crede alla necessità di una urgente iniziativa politica e chi pensa invece che occorra ricostruire prima una rete di presenze sociali e comunitarie. Servono tutte e due le cose. La Politica, ci hanno insegnato i nostri Maestri, non prevede salti, ma processi ispirati – al tempo stesso – ad una visione di lungo periodo e ad una coraggiosa gestione del tempo che si vive, con gli strumenti e gli spazi che esso offre.

Quarto. Affrontare con laicità e – appunto – realismo, le prossime elezioni politiche nazionali. Ciò significa prendere atto che lo spazio politico ed elettorale potenziale per un “centro” che concorra a costruire una credibile alternativa a questa Destra non può esaurirsi oggi nello stretto perimetro del Popolarismo di ispirazione cristiana. Quest’ultimo deve essere certo riconoscibile (mettendo finalmente a fattor comune le molte esperienze locali e le molte start-up nazionali che lo propugnano) ma deve essere disponibile a partecipare alla costruzione di un’area politico-elettorale culturalmente plurale con altri interlocutori che condividano il medesimo posizionamento.

La sfida sarà, da un lato, la coesione e la credibile visibilità di un soggetto popolare e, dall’altro, la capacità di superare da parte di tutti la tendenza alla autoreferenzialità; la pretesa di leadership iper-personalizzate; la ricerca di specifiche “benedizioni” da parte del PD, col quale occorre invece un rapporto “adulto”.

Le sfide dei tempi e dei processi politici

Aggiungo: va evitato nel frattempo che nelle Regioni chiamate al voto prima delle elezioni politiche ci siano alleanze locali con la Destra. Anche laddove il PD, come in alcune realtà, dimostra freddezza se non ostilità al rapporto con le varie formazioni di ispirazione popolare. Dove non ci sono le condizioni di una alleanza, meglio piuttosto correre da soli, ma senza compromettere il futuro del progetto nazionale con accordi a Destra. La credibilità del progetto, in tal caso, verrebbe fortemente compromessa.

Quinto. Il Campo Largo così come sta venendo avanti. Non c’è dubbio che esiste un problema politico e programmatico al riguardo, non risolvibile con la troppo banale – benché per certi versi comprensibile – valutazione di tipo puramente matematico. Questo problema può essere in effetti assai grave soprattutto se il PD intende costruire il “cuore politico” della coalizione con le componenti più radicali o ambigue (come il M5S), senza porsi il problema del suo bilanciamento complessivo, sia in termini politici che programmatici, interni ed internazionali. E se, conseguentemente, ricerca al Centro satelliti di comodo, meglio se camuffati nel vago civismo e spezzettati e non “alleati politici” veri. Ovvio che su questo terreno molto dipende da noi, dalla nostra chiarezza politica e dal nostro “ubi consistam”.

Le prospettive per una nuova visione dei Popolari

Vedo, infine, due questioni di “sistema” sulle quali occorre in ogni caso una riflessione più approfondita.

La prima riguarda la necessità di pensare ad una “forma partito” innovativa e capace di rapportarsi alla condizione del nostro tempo. Nessuna nostalgia dei vecchi tempi può sostituire questo sforzo di innovazione, che deve esplorare a fondo le ragioni del distacco crescente tra cittadini e politica, nonché proporre strumenti di coinvolgimento dei singoli e delle componenti comunitarie assolutamente inediti. Lavoro faticoso ma non impossibile.

La seconda questione riguarda la “visione” Popolare. Non possiamo accontentarci di esibire la nostra importante storia o richiamarci ai principi primi della Dottrina Sociale della Chiesa. Il tempo che viviamo mette sotto stress tutte le “radici” storiche per come esse si sono incarnate nelle epoche precedenti, anche più vicine a noi. Queste radici possono evitare il rischio di isterilirsi in cimeli da museo solo se si ha il coraggio e la capacità di reinterpretarle nei paradigmi di oggi.

Perfino Papa Prevost, scegliendo il nome di Leone ed evocando così la “Rerum Novarum”, ha parlato della sfida centrale dell’Intelligenza Artificiale.

A maggior ragione, dunque, i Popolari, chiamati al loro compito sul piano di una laicità responsabile, non possono esimersi dal definire la propria idea originale sulle “cose nuove” del loro tempo, trovando così il loro spazio peculiare e creativo tra la crisi del pensiero tradizionale del “progressismo” – che fatica oggi a capire e a comunicare al popolo verso dove intende progredire – e le risposte pasticciate e demagogiche di una Destra che vuole “conservare”, ma fatica in realtà a capire cosa conservare e per questo agita ovunque la paura di un futuro che non sa immaginare.

In questo senso, i Popolari hanno ancora un senso nella politica se non sono per nulla “moderati”, ma esigenti ed inquieti costruttori di una nuova idea di società: in Italia, in Europa e nel contesto del disordine internazionale.