30.6 C
Roma
domenica, 22 Giugno, 2025
Home GiornaleUn campo largo senza centro

Un campo largo senza centro

Nel nuovo assetto delle alleanze progressiste, la cultura riformista e di governo appare del tutto marginalizzata. Una riflessione sul ruolo politico del centro democratico, oggi quasi rimosso.

Un tema che non si può più eludere

Ci sono delle categorie politiche che, ad un certo punto, scompaiono del tutto dall’orizzonte di un partito o, meglio ancora, di una coalizione. È il caso, nello specifico, del Centro rispetto al profilo politico e culturale e alla prospettiva programmatica del cosiddetto “campo largo”. L’ha detto, per la verità, alcuni giorni fa con rara chiarezza Carlo Calenda in un’intervista rilasciata a un quotidiano romano. Credo che il tema non si possa e non si debba sottovalutare per la semplice ragione che “non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire”.

Del resto – almeno questa è la mia opinione – è perfettamente inutile sbraitare che nella coalizione di centrodestra è la destra che comanda quando poi, sul versante opposto, la guida politica e culturale dell’alleanza è saldamente in mano alle tre sinistre coordinate, com’è avvenuto puntualmente con l’ultima consultazione referendaria, dal segretario generale della Cgil, Landini.

Dal riformismo alla subalternità

È una osservazione, questa, talmente banale nonché oggettiva, che non meriterebbe la benché minima attenzione se non per il fatto che proprio questa considerazione segna una netta e bruciante discontinuità rispetto allo schieramento riformista. Almeno per come, e sino a poco tempo fa, si era presentato di fronte agli elettori. Perché era dai tempi della “gioiosa macchina da guerra” di occhettiana memoria del lontano 1994 che non esisteva più un’alleanza delle sole forze della sinistra. O meglio, dove la sinistra, di fatto, comandava e aveva il timone della strategia, della prospettiva e del programma politico alternativo allo schieramento contrapposto.

Certo, ieri come oggi, esistono i cosiddetti “cespugli”, cioè coloro a cui gentilmente viene concesso – per grazia ricevuta – un protocollare e burocratico “diritto di tribuna”, cioè una manciata di parlamentari, in cambio di una assoluta fedeltà politica alla coalizione e, soprattutto, senza mettere affatto in discussione la guida politica dell’alleanza stessa. Un tempo erano gli autorevoli e qualificati “cattolici indipendenti eletti nelle liste del Pci”, poi – per citare una bella e significativa esperienza più recente – i “Cristiano sociali”; oggi Italia Viva e domani, chissà, altri gruppi che potranno ancora formarsi. Certo, politicamente del tutto irrilevanti ed ininfluenti nella coalizione, ma utili – e forse anche indispensabili – per spiegare, a chi lo richiede, che la coalizione così costruita è saldamente plurale.

Dall’alleanza riformista alla sinistra radicale

Ecco perché, se dobbiamo oggi evidenziare un vero salto di qualità di questo campo politico, è proprio quello di essere passati da una coalizione di centrosinistra riformista, democratica e soprattutto con una chiara e netta cultura di governo – progetto caro ai vari Marini, Rutelli, Veltroni e molti altri dirigenti dell’epoca – a una semplice coalizione di sinistra. Saldamente guidata dal Pd della Schlein, dal trio Fratoianni/Bonelli/Salis, dal populista Conte e sotto la supervisione del segretario dello storico “sindacato rosso”, Landini.

Un salto di qualità che, per tornare alla riflessione iniziale, ci porta a concludere che il Centro, o “la politica di centro” o il “Centro dinamico”, da quelle parti è un’espressione, appunto, quasi blasfema.