Il ritorno (silenzioso) della manifattura
Non servono bandiere né comizi sopra le ruspe. L’Europa sta facendo quello che Donald Trump urla ai quattro venti: riportare l’industria nei confini nazionali. Ma a differenza dell’ex presidente americano, l’Unione Europea agisce con discrezione, investendo in filiere corte, innovazione e sicurezza strategica. Lo documenta con chiarezza l’economista Dalia Marin, in uno studio recente pubblicato su Project Syndicate: “La globalizzazione non sta finendo. Sta cambiando forma. L’ascesa della robotica e i costi politici della dipendenza estera spingono molte imprese a ripensare il proprio modello produttivo”.
Quando un robot in Baviera costa meno che un operaio in Vietnam
Il fenomeno, noto come reshoring, riguarda il ritorno in patria di attività produttive precedentemente delocalizzate. Ma non si tratta di nostalgia industriale: è un mutamento profondo, accelerato dalla pandemia, dalle guerre commerciali e dai colli di bottiglia logistici. Marin osserva:
“Un robot in Baviera costa meno, nel lungo periodo, di un operaio in Vietnam. Le imprese non inseguono più solo il profitto immediato, ma anche la resilienza e la sicurezza.”
“Per l’Europa è una svolta. Senza clamore, molte aziende stanno ripensando le proprie scelte strategiche, privilegiando prossimità, affidabilità e automazione. Non più soltanto costi marginali, ma equilibrio tra efficienza e sovranità”.
La sovranità economica, senza urla
Trump propone una de-globalizzazione rumorosa, fatta di muri, dazi e patriottismo economico gridato. L’Europa, più che reagire, sta prevenendo. Lo fa con investimenti nell’industria 4.0, incentivi alle imprese che tornano, e una nuova cultura della sicurezza economica, condivisa tra Stati e istituzioni comunitarie. “Il cuore del nuovo paradigma economico, scrive ancora Marin, è il ritorno dell’industria. E con essa, le decisioni politiche che dovranno governare una riconfigurazione globale”.
Meno ideologia, più realtà
La globalizzazione non sparisce, ma cambia pelle. E chi sa leggere i segni del tempo capisce che il futuro non è nella nostalgia, ma nella capacità di adattare l’economia a un mondo più instabile. In questo, l’Europa — pur tra limiti e lentezze — si sta muovendo. Non è una rivoluzione, ma un’aggiustatura profonda. Silenziosa, ma concreta.
E proprio qui sta la sua scommessa o magari la sua forza: fare, invece che urlare.