Fuori dal tempo e dal contesto
«Facciamo una nuova Assemblea Costituente»: è l’ultima trovata di Carlo Calenda (v. intervista di ieri sl Corriere della Sera) per rilanciare la seconda parte della Costituzione e restituire centralità alla democrazia. Un’idea seducente sulla carta, ma fuori dal tempo e dal contesto politico reale. Come se l’Italia di oggi, frantumata e polarizzata, potesse ritrovarsi miracolosamente nello spirito unitario del 1946.
A smontarla sul piano dei principi e dei fatti è stata, in realtà, già nel 1991, una voce autorevole e lucida come quella di Leopoldo Elia, presidente emerito della Corte Costituzionale e punto di riferimento dei costituzionalisti più attenti e rigorosi.
Elia e la realtà dei “momenti costituenti”
«Non si ricreano a freddo i momenti costituenti» – affermava Elia nel luglio 1991 al Senato, quando si discuteva sul messaggio presidenziale di Cossiga e sulla tentazione di riscrivere la Costituzione fuori dalle regole fissate dal documento stesso. Elia richiamò con fermezza la realtà dei fatti: la Costituente era figlia di un contesto unico e irripetibile, segnato dal trauma della guerra e dal comune bisogno di rifondare la Repubblica.
«Le Assemblee costituenti nascono quando si chiude un’epoca e si apre una nuova stagione civile e politica. Oggi, invece, siamo in una fase di trasformazioni e tensioni interne alla Repubblica, che devono e possono essere risolte con gli strumenti ordinari di revisione costituzionale».
I rischi della scorciatoia costituente
Elia metteva in guardia dal pericolo di una doppia legittimità: quella del Parlamento e quella di una nuova Assemblea Costituente. L’una finirebbe per delegittimare l’altra, causando paralisi e tensioni istituzionali. Ancor più, paventava il rischio che la Costituente si trasformasse in un terreno di scontro politico strumentale, invece che in una fucina condivisa di regole e principi.
«Le riforme necessarie si possono e si devono realizzare con gli strumenti che la Costituzione stessa prevede – insisteva Elia –, evitando tentazioni di palingenesi che finirebbero per compromettere ciò che è stato costruito e condiviso nel tempo».
Una lezione attuale
La visione di Elia è chiara e definitiva: la nostra Carta è viva e capace di rinnovarsi dall’interno, nel solco dell’articolo 138, piuttosto che soccombere al fascino di una nuova Assemblea Costituente priva del contesto politico e culturale che la giustificherebbe. Su questo punto ottenne nel 1995 la smentita di Giuseppe Dossetti, dopo che sulla Discussione – diretta da Gianfranco Rotondi – era apparsa un’intervista che riportava un giudizio favorevole sulla proposta di Costituente.
Calenda prova dunque a rincorrere una scorciatoia fuori dal tempo e dalle regole, ma finisce per inquinare la credibilità di un Centro che dovrebbe coltivare riforme possibili e condivise, invece di abbandonarsi a suggestioni fuori misura. Questo è, purtroppo, veleno per la reputazione e l’autorevolezza di chi dovrebbe costruire, e non scardinare, la casa comune della Repubblica.