Il convegno e il messaggio
L’altro ieri, all’hotel Parco dei Principi di Roma, Alessandro Onorato ha ufficializzato la volontà di costruire un progetto civico a dimensione nazionale. L’obiettivo: federare le esperienze civiche nate nei territori e offrire al centrosinistra un contributo di concretezza e radicamento locale. «Non un nuovo Terzo Polo», ha precisato, ma una rete civica che, sulla base del “buon governo”, possa dare forza a un’offerta politica diversa da quella partitica tradizionale. Un civismo pragmatico, non ideologico, capace – nelle intenzioni – di raccogliere energie oggi disperse. Lunedì anche Paolo Ciani, espressione della Comunità di Sant’Egidio, proporrà un’iniziativa fac-simile denominata “Rete civica solidale”.
Le presenze e la regia politica
Dietro queste operazioni studiate a tavolino s’intravede la regia di Franceschini e Bettini, gli azionisti di maggioranza del Nazareno. Anche il sindaco Gualtieri, seduto in prima fila in segno di solidarietà con il suo assessore, ha messo a verbale l’adesione alla strategia di rivitalizzazione del centrosinistra. Tutto questo, in realtà, è il sintomo di una crisi di visione e di leadership, sicché si tenta di supplire all’assenza di pensiero strategico con l’assemblaggio di forze locali impigliate nel sistema di potere del Pd. Ciani e Onorato non apportano nulla di aggiuntivo a quell’abbozzo di coalizione che finora è andata sotto il nome di “campo largo”. A conti fatti, questo civismo dai contorni labili serve a contenere l’intraprendenza di Renzi, senza che la manovra possa ambire a spostare consensi a vantaggio della coalizione. Si gioca a redistribuire le forze, non ad accrescerle.
Una forzatura istituzionale
Spiace constatare che il sindaco di Roma abbia ritenuto opportuno avallare una simile iniziativa. Non se ne comprendono le ragioni. È lecito domandarsi se sia credibile che un assessore in carica, a due anni dalla scadenza della consiliatura e delle prossime elezioni politiche, possa dedicarsi a un progetto politico così ambizioso e impegnativo quando il suo compito dovrebbe consistere nel fare bene l’amministratore locale. Onorato, certo, ha diritto di perseguire il suo disegno, ma dovrebbe avere l’onestà di dimettersi. E il sindaco, dal canto suo, avrebbe il dovere – politico e istituzionale – di ricordarglielo.
C’è un evidente squilibrio: mentre il sindaco, sulla base delle norme vigenti, in caso di candidatura al Parlamento deve dimettersi almeno sei mesi prima delle elezioni, un assessore può invece utilizzare la visibilità del suo ruolo per costruirsi una legittimazione politica, senza dover lasciare l’incarico. È un’anomalia che suscita grandi interrogativi. E che mina, peraltro, l’equilibrio complessivo dell’amministrazione comunale.
L’errore di Gualtieri
Gualtieri non deve scomodarsi nell’esercizio che gli è più consono, quello di studioso e scrittore di storia. Basta un po’ di memoria. Quando Rutelli e Veltroni furono chiamati alla guida del centro-sinistra, non ebbero esitazione a dimettersi. Nel 2001 e nel 2007 l’assemblea capitolina fu sciolta in anticipo. Si dirà che Gualtieri oggi non è coinvolto in prima persona e che il suo ruolo, rivendicato ogni giorno, è quello di sindaco; tuttavia, per superficialità o distrazione, lascia che la giunta da lui presieduta diventi l’ambulacro delle peripezie di Onorato. Che dire, non è qualcosa di scombinato e fazioso? Forse sarebbe bene che il Pd riflettesse sui rischi generati da questo passo falso.