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domenica, 29 Giugno, 2025
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Solo una domanda può puntare oltre

In un’epoca che idolatra le risposte, serve tornare a valorizzare l’interrogativo come forma alta di pensiero e conoscenza. Come nella Sacra Scrittura, anche oggi il domandare autentico apre alla fede e al mistero.

“Una risposta è il tratto di strada che ti sei lasciato alle spalle. Solo una domanda può puntare oltre.”

In questa frase di “C’è nessuno?” di Jostein Gaarder si concentra un’intuizione essenziale: è la domanda, non la risposta, a custodire il movimento della vita e del pensiero. Un’idea tanto semplice quanto controcorrente, in un tempo che spesso premia l’efficienza delle risposte più che la profondità delle domande.

Nel piccolo, prezioso romanzo di Gaarder, del 2020, un dialogo tra un bambino e un misterioso visitatore da un altro mondo si trasforma in un viaggio filosofico, lieve e sorprendente. Mika, l’ospite extraterrestre, afferma:

“Nel posto da cui vengo ci inchiniamo sempre quando qualcuno fa una domanda acuta… E più profonda è la domanda, più profondo è l’inchino”.

È un gesto simbolico, ma eloquente: inchinarsi di fronte a una domanda significa riconoscerne la forza, il valore, la possibilità di aprire orizzonti. La domanda, se autentica, merita rispetto. È segno di vita interiore.

La cultura occidentale contemporanea è affollata di risposte, ma spesso disabitata di domande. Eppure, solo le domande generano ricerca, relazione, fede. Anche le Scritture iniziano con un interrogativo: “Dove sei?” (Gen 3,9). E il Risorto chiede: “Chi cercate?”, “Mi ami?”. La domanda, nella Bibbia, non è debolezza, ma atto generativo. Mette in cammino.

Persino la preghiera, quando non è automatismo, è forma di domanda: domanda di senso, di relazione, di luce. Non tutto va capito, non tutto va detto: ma tutto può essere domandato. La domanda non pretende, attende. Si apre.

In un’epoca che tende a semplificare, recuperare la dignità del chiedere è un gesto culturale e spirituale. Forse anche educativo. Perché solo chi sa porsi domande resta in cammino. E solo chi si inchina davanti a una domanda riconosce che la verità non si possiede: si cerca.

Anche la politica, oggi più che mai, avrebbe bisogno di questa postura silenziosa.

Troppe parole, troppe certezze, troppa fretta di concludere. Eppure governare non è solo rispondere: è saper reggere le domande che restano, quelle che vengono dal dolore, dalla storia, dal futuro che preme.

Un buon politico è colui che non ha fretta di chiudere, ma coraggio di ascoltare. Colui che non si protegge dietro risposte prefabbricate, ma si lascia ferire da ciò che non sa. Perché solo chi accoglie il dubbio può custodire la speranza.

Ciò che manca, spesso, non è un piano o una soluzione, ma un gesto semplice e alto: inchinarsi davanti a una domanda. Non per debolezza, ma per rispetto. Non per rinunciare, ma per servire meglio. Chi avrà il coraggio di fare spazio a una domanda senza volerla subito risolvere?