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domenica, 29 Giugno, 2025
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Ministero della pace, ovvero Ministero del nulla

Gli italiani sognano la pace ma restano disillusi e disincantati. Tra retorica, illusioni e istituzioni inutili, vale ancora il detto: le strade per l’inferno sono lastricate di buone intenzioni.

Un’etica intermittente: il caso italiano

Gli italiani sono un popolo strano, e lo diceva Ennio Flaiano lodando le capacità di saltare sui carri vincenti. Allo stesso tempo, sono disillusi e disincantati. Da tempo non frequentano le urne e non sembra vogliano cambiare il trend. Disaffezionati alla politica partecipata dal basso – quando in parte è preconfezionata dai partiti – virano decisi verso il disinteresse per quello che succede veramente nel Paese, fino a quando non trovano un argomento etico sul quale riversare il poco entusiasmo rimasto: la pace.

Tra Machiavelli e Moneta: pacifismo d’occasione

Il Paese non è proprio fatto di pacificisti e di pacificatori, a partire da Cesare con il notissimo detto cesariano riproposto dal capo del Governo – si vis pacem, para bellum – al Machiavelli con la sua “ragione di Stato”, ai governi totalitari subiti dai più, fino ai giorni nostri con l’aumento delle spese militari per la difesa interna ed esterna. In effetti, non annoveriamo un premio Nobel per la pace dal 1907, quando fu attribuito al giornalista Ernesto Teodoro Moneta, insieme a Louis Renault.

Moneta ricevette il premio per il suo impegno a favore della pace, della giustizia internazionale e dell’arbitrato; uno sherpa della pace, di destra, liberale e massone, che resta uno sconosciuto nell’opinione pubblica e pure nei consessi storici. Lo dico per carità di patria: nel 1907 c’era il Regno; nell’Italia repubblicana, di Nobel per la pace niente. L’unica candidatura: quella dell’artista Michelangelo Pistoletto (Biella 1933 – vivente).

Ministeri e illusioni istituzionali

Ma tant’è: siamo un popolo anche di sognatori, e così, ritenendoci pacificatori e pure pacifisti, ci facciamo prendere dalla “fola” del Ministero della pace. Il che non depone a nostro favore. Primo, perché questo è il Paese con la più alta burocrazia strutturata di tutta Europa, al pari dell’Unione Europea, e per questa ragione abbiamo da dieci anni programmi di snellimento della burocrazia. Pensare di risolvere le questioni reali – insieme a quelle ideologiche – creando una struttura burocratica interna al Governo dedicata alla pace è un ossimoro politico-istituzionale o, se si vuole, una “cantonata” istituzionale. Di Ministeri per “il nulla” ne abbiamo memoria nel periodo dittatoriale, per esempio.

Secondo aspetto: il Ministero è una struttura organizzativa interna con cui il Governo decide di operare secondo il mandato ricevuto; possono crescere o diminuire in funzione delle esigenze del singolo Governo. Chiederlo adesso significa solo accettare che questo Governo duri per lo meno per il tempo necessario alla sua istituzione (qualche settimana) e alla sua entrata in funzione (qualche mese). Se poi il Governo cade o finisce la sua corsa naturalmente, non comporta necessariamente che il Governo subentrante recepisca la stessa struttura organizzativa. A meno che – a pensare male si fa peccato ma talvolta ci si azzecca – non si voglia condizionare surrettiziamente il Governo futuro, alla faccia della libertà politica e istituzionale.

Tra pia illusione e marketing politico

E quand’anche non si voglia malignamente pensare al perfido gioco politico-istituzionale, c’è il terzo motivo, altrettanto spergiudicato: quello di voler portare il popolo “al Governo”. Lo strumento dell’iniziativa popolare è quello di sollecitare le Istituzioni – quindi anche il Governo – a prendere una decisione politica nell’interesse dei molti che l’hanno proposta, ritenendo democraticamente che sia nell’interesse di tutti.

La sollecitazione popolare la si può provocare con i mezzi tecnologici per la maggiore – i social media – o con quelli più tradizionali, ma poco usati oggigiorno, della legge di iniziativa popolare. In entrambi i casi si presuppone che l’alto numero di sottoscrittori/partecipanti contribuisca a definire l’importanza della cosa. La storia patria, però, è piena di iniziative pure importanti naufragate miseramente nel disinteresse di molti. Questo dovrebbe essere già di lezione nei nostri tempi.

Ma poiché di ideali e spinte protagonistiche ciascuno di noi italiani non è mai sazio, tutti parlano di azioni concrete per la pace – internazionale (di quella interna facciamo ammenda) – e, dovendosi attribuire un’autorevolezza che non si ha, ci si precipita ad occupare uno spazio che forse nessuno di quelli che contano davvero guarderà con un minimo di condiscendenza.

E qui, con la dovuta malignità che la storia ci ha insegnato nel tempo riguardo al nostro Paese, dovremmo ricorrere alla favola tedesca del Pifferaio di Hamelin, dei topi-bambini rapiti dal suono del piffero, per comprendere che non a tutte le “fole” dobbiamo correre dietro, anche quando esse ci sembrano giuste – direi quasi sacrosante – piene di buone intenzioni (chi negherebbe mai che la pace debba essere perseguita?).

Ma come si sa: le strade per l’inferno sono lastricate di buone intenzioni.

Serve davvero un Ministero per sentirci migliori?

Ed infine, quand’anche noi italiani – per sentirci pacificatori e pacifisti in pace con la nostra coscienza collettiva, che ci vuole popolo buono di animo gentile (è una vulgata, ma ci fa piacere pensarlo come dato di fatto) – abbiamo davvero bisogno di un “Ministero della pace” per trovare uno spazio degno di rappresentanza e di peso politico, tanto la nostra voce appaia insignificante ai più?