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lunedì, 30 Giugno, 2025
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Il ritorno del brigantaggio nella coscienza nazionale

Ricerche storiografiche e narrazioni pubbliche rivelano come il Mezzogiorno postunitario sia ancora un nodo irrisolto nel racconto della nazione italiana. È una faglia profonda che attraversa il Paese.

Un rinnovato interesse storiografico

Negli ultimi anni, la storiografia sul brigantaggio postunitario ha attraversato una fase di profondo rinnovamento, alimentata sia da un avanzamento delle ricerche accademiche, sia da una crescente attenzione pubblica al tema, innescata anche dal dibattito sul ruolo del Mezzogiorno nell’Unità d’Italia. Il fenomeno del brigantaggio, per lungo tempo relegato tra le pieghe di una narrazione nazionale semplificata, è stato gradualmente restituito alla sua complessità storica, sociale e politica, diventando terreno fertile per la rilettura critica della costruzione dello Stato unitario.

L’anniversario del 150° dell’Unità d’Italia (2011) ha rappresentato una tappa significativa di questo processo, aprendo spazi di confronto ma anche tensioni interpretative. Accanto alla ricerca storiografica più rigorosa, si è sviluppato un discorso pubblico fortemente divaricato: da una parte, posizioni nostalgiche e rivendicative, che hanno alimentato una “controstoria” del Risorgimento centrata su un paradigma vittimario del Sud; dall’altra, letture storiche più articolate, che hanno messo in luce il carattere plurale del brigantaggio e la sua collocazione in un contesto di guerra civile e di crisi del modello statuale preunitario.

Risorgimento e brigantaggio: un conflitto dentro l’unificazione

In questo rinnovato panorama interpretativo, la storiografia ha compiuto passi significativi. Franco Molfese, autore del fondamentale Storia del brigantaggio dopo l’Unità (1964), restauna figura centrale negli studi sul brigantaggio meridionale. Il suo lavoro ha contribuito a inquadrare il fenomeno come una forma di protesta sociale, legata alla mancata riforma agraria – secondo un’impostazione in parte influenzata da Gramsci – e alle profonde delusioni delle masse contadine. In una fase successiva, storici come Piero Bevilacqua, Salvatore Lupo, Paolo Macry, Carmine Pinto e altri studiosi hanno posto l’accento sulla dimensione politica e ideologica del fenomeno. In questa prospettiva, la rivoluzione nazionale avrebbe rappresentato il momento di rottura che innescò una reazione controrivoluzionaria, assumendo i contorni di una guerra civile. Il cosiddetto “grande brigantaggio” è stato così interpretato non solo come esito della crisi del Regno delle Due Sicilie – legata all’immobilismo di Ferdinando II, ai limiti della sua classe dirigente, alla debolezza interna e all’isolamento sul piano internazionale – ma anche come una reazione articolata al progetto di unificazione nazionale, in cui confluirono resistenze sociali, istanze legittimiste, interessi locali e tensioni religiose. Un discorso a parte merita, infine, la Sicilia, le cui élite si schierarono in larga parte a favore del nuovo Stato, segnando una traiettoria differente rispetto ad altre province meridionali.

Dalla propaganda borbonica alla memoria identitaria

Nel biennio 1861-1863, con l’offensiva delle bande armate e l’istituzione della Commissione d’inchiesta parlamentare, si assiste a una radicalizzazione dello scontro: i Borbone, pur in esilio, alimentano un vasto movimento clandestino, sostenuto da settori del clero, da esponenti dell’aristocrazia e da alcune aree dell’apparato militare. In questo contesto, si afferma una propaganda reazionaria che contrappone il “mito del Regno felice” all’idea di una “piemontesizzazione” del Sud, veicolando una memoria della sconfitta che ancora oggi trova eco in molte narrazioni identitarie.

Questo repertorio discorsivo si è radicato in ambiti eterogenei: dalla memorialistica popolare alla pubblicistica, dalla produzione letteraria a quella cinematografica. La rete e i social media hanno avuto un ruolo centrale nell’amplificare voci alternative e spesso semplificatorie, in cui la storia viene riletta alla luce di un presente segnato da profonde disuguaglianze territoriali. Si fa leva su una sensibilità diffusa che interpreta il passato come chiave per comprendere le fratture ancora vive tra Nord e Sud.

Una storia contesa: il brigantaggio tra revisionismi e ricerca storica

Lungo l’ampio dibattito sul brigantaggio e sulla questione meridionale, emerge con chiarezza una faglia profonda che attraversa l’Italia: una frattura che tende ad allargarsi nei momenti di crisi politica e identitaria, come oggi, quando anche i media rilanciano l’attenzione sul brigantaggio. Ne deriva una rivisitazione del tema, talvolta in chiave revisionista, condizionata dalla crisi dei grandi partiti di massa e dal ritorno di interpretazioni ideologiche del passato.

Tuttavia, è sul versante della ricerca storica che si è avviato un processo più profondo di revisione critica. Una nuova generazione di studiosi ha adottato approcci interdisciplinari e ha valorizzato l’uso delle fonti. Si è così affermata una lettura che mette in evidenza come la monarchia borbonica tentasse di strumentalizzare il dissenso, trasformando il brigantaggio in uno strumento politico funzionale alla propaganda legittimista. A differenza dei Savoia – che seppero affidarsi a consiglieri moderni come Cavour – i Borbone rimasero ancorati a posizioni di retroguardia, incapaci di cogliere la soluzione costituzionale e di interpretare i segni della modernità.

Il Mezzogiorno e la costruzione della nazione

L’attuale centralità del brigantaggio nel dibattito pubblico riflette la permanenza di una frattura irrisolta nella memoria nazionale. Il tema continua a suscitare interrogativi sul significato della nazione, sulla narrazione della sua costruzione e sul ruolo che il Mezzogiorno ha avuto – e ha – in questo processo. Il volume di Carmine Pinto La guerra per il Mezzogiorno. Italiani, borbonici e briganti 1860-1870, è considerato un’opera di riferimento per comprendere il brigantaggio come conflitto civile interno al processo di unificazione, inquadrato nel più ampio contesto europeo dell’Ottocento. Come scrive Pinto: «La prima guerra italiana si combatté nel Mezzogiorno», e fu un conflitto che vide opporsi non soltanto eserciti e bande, ma due visioni del mondo: da un lato, un assolutismo in declino ma ancora radicato nella tradizione e nella religione; dall’altro, un’idea di Stato liberale e costituzionale, spesso incapace però di cogliere le specificità territoriali e culturali del Sud.

In questo senso, lo studio del brigantaggio non è solo una ricostruzione del passato, ma un esercizio critico per comprendere le radici profonde della storia italiana. Un banco di prova per la storiografia e per la maturità del discorso pubblico nel misurarsi con i conflitti della modernità e le narrazioni che ne derivano.