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sabato, 12 Luglio, 2025
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Il dialogo possibile: guardiamo ai Brics con occhi nuovi

Chiedono la riforma della governance globale, in modo dialogante e collaborativo con l'Occidente. I Brics non sono una minaccia. La vera minaccia per noi è non capirlo.

Probabilmente quello che noi occidentali, soprattutto se italiani, cioè cittadini di un Paese-ponte, dobbiamo evitare di fare a proposito dei Brics, è considerarli come se fossero l’altra faccia della luna: si sa che c’è, ma non si vede.

Per il diciassettesimo anno di fila il Coordinamento Brics si è mostrato il 6 e 7 luglio scorsi a Rio de Janeiro, nella vetrina del proprio vertice.

Diventa difficile non vedere e non interagire con il dinamismo di un gruppo di Paesi (11 stati membri e 10 stati partner) che ormai rappresenta il 46% della popolazione mondiale, il 34% della superficie, il 36% del pil a parità di potere di acquisto e il 40% della produzione industriale. E che, soprattutto, rivendica un suo ruolo nella governance globale, e lo fa in modo dialogante, costruttivo e collaborativo con gli altri, Occidente compreso.

Il percorso del Coordinamento Brics da Kazan a Rio si è articolato su due livelli. Da un lato quello del rafforzamento della cooperazione interna. Durante la presidenza di turno brasiliana, pochi ma significativi, sono stati gli allargamenti (l’Indonesia fra i membri a pieno titolo e la Nigeria fra i partner) ma sono cresciute le aree dove si sta instaurando una collaborazione intra-Brics: dalla ricerca al lavoro, dagli amministratori locali alla società civile, dallo sport al cinema. Ciò genera dei circuiti e degli standard rilevanti su scala globale, con cui anche le nostre università, le nostre aziende, le nostre istruzioni devono confrontarsi. Per noi la sfida è quella di iniziare a concepire strategie nazionali e comunitarie non solo con i singoli stati Brics ma anche con i programmi e le iniziative dei Brics, che, oltretutto potrebbero coinvolgere anche i cittadini Brics in Italia per motivi di lavoro o di studio.

L’altro livello è quello esterno ai Brics. Anche la Dichiarazione di Rio, come le 16 precedenti, non lancia alcuna sfida, men che meno minaccia, all’Occidente, ma ribadisce l’impegno alla collaborazione per la riforma delle istituzioni globali nel senso di una maggiore inclusività ed equità e per un approccio ispirato a un nuovo multilateralismo nell’affrontare i problemi globali: dall’intelligenza artificiale al lavoro, dalla lotta alla fame e alla povertà, dai problemi ambientali e climatici al benessere delle persone e delle società. In questa prospettiva si colloca anche la preoccupazione, espressa dagli 11 stati Brics per l’aumento delle spese militari globali a scapito del finanziamento allo sviluppo. Altrettanto equilibrate paiono le posizioni espresse sul conflitto israelo-palestinese a sostegno di una soluzione giusta e duratura, basata sulla soluzione dei due Stati, Israele e uno Stato di Palestina indipendente, sovrano e vitale entro i confini del 1967, con Gerusalemme Est come capitale.  E a sostegno degli sforzi per una tregua immediata a Gaza, il ritiro delle forze israeliane, la liberazione degli ostaggi e l’accesso umanitario incondizionato.

Come anche l’impegno  dei Brics per un sistema commerciale multilaterale basato su regole, con l’OMC al centro, e la condanna delle misure unilaterali restrittive che minacciano il commercio globale, dovrebbero esser accolte con minor diffidenza, almeno dalla sponda europea dell’Atlantico.

Il rilevo ormai raggiunto in parecchi campi dall’iniziativa Brics sembra consigliare un atteggiamento di maggiore apertura e di fiducia. Nelle élite occidentali, in particolare, è sperabile che alla narrazione di una guerra inevitabile a cui ci si dovrebbe preparare in fretta e con ogni mezzo, si sostituisca quella di un’opportunità da cogliere, di sviluppo e di reciproco guadagno nel dialogo con mondo dei Brics, con ciò rafforzando nel contempo e in concreto la nostra sicurezza.