Alla guida dell’ufficio più vicino alla presidente, Seibert ne coordina l’azione politica e operativa con rigore e visione strategica. Se da un lato il suo ruolo è spesso descritto come essenziale per l’efficienza della Commissione, dall’altro suscita interrogativi sul modello decisionale interno alle istituzioni europee.
Un profilo tecnico-politico al centro della macchina europea
“Se vuoi far succedere qualcosa nella Commissione, chiama Seibert.” Questa frase, raccolta dal portale Politico Europe, sintetizza l’influenza che il funzionario tedesco esercita nella vita quotidiana del Berlaymont, la sede della Commissione Europea. Poco più che quarantenne, Seibert è considerato la mente organizzativa dietro la leadership di von der Leyen, alla quale è legato da un rapporto di fiducia e collaborazione consolidato nel tempo.
Il suo percorso istituzionale è cominciato al fianco dell’attuale presidente durante il suo incarico al Ministero della Difesa tedesco, dove si è distinto per discrezione e rapidità decisionale. Al momento della nomina a Bruxelles nel 2019, von der Leyen ha voluto Seibert con sé come capo di gabinetto, incarico che ha progressivamente assunto un rilievo politico oltre che amministrativo: ogni comunicato, nomina o negoziato internazionale passa sotto la sua supervisione.
Dossier Ucraina: coordinamento e interlocuzione internazionale
Uno dei momenti in cui il suo ruolo è emerso con particolare forza è stato l’avvio della guerra in Ucraina nel 2022. Secondo fonti giornalistiche europee, Seibert avrebbe avuto un ruolo determinante nel coordinare l’elaborazione dei pacchetti sanzionatori contro la Russia, mantenendo contatti diretti con gli Stati Uniti e altri attori internazionali. In quella fase, la Commissione ha potuto offrire una risposta tempestiva e coesa, contribuendo a rafforzare la posizione dell’Unione nel contesto di una crisi geopolitica di grande portata.
Un metodo di lavoro che suscita anche critiche
Nonostante l’efficienza attribuita alla sua azione, alcune critiche si concentrano sulla centralizzazione decisionale attorno alla sua figura. In ambienti interni alla Commissione si parla talvolta di “Berlaymont bottleneck” (il “collo di bottiglia” del Berlaymont), in riferimento alla percezione che molte decisioni cruciali vengano accentrate nel suo ufficio, rallentando l’iniziativa dei servizi e riducendo la collegialità del processo.
Secondo alcune fonti diplomatiche, Seibert è riconosciuto per le sue competenze e la sua visione, ma viene talvolta descritto come eccessivamente accentratore. In un contesto istituzionale come quello europeo, ciò riapre il dibattito sul bilanciamento tra leadership forte e inclusione nei processi decisionali.
Formazione, transatlantismo e visione strategica
Björn Seibert ha studiato tra Erfurt, Cambridge e il MIT. È ritenuto un convinto sostenitore del rafforzamento del legame transatlantico, considerato cruciale per la tenuta dell’Unione in un contesto globale segnato da competizione, innovazione e instabilità. Ha promosso il coordinamento strategico con gli Stati Uniti in settori chiave come energia, sicurezza e tecnologie digitali, cercando di mantenere un profilo operativo discreto, ma centrale.
Uno scenario in evoluzione
Con l’avvicinarsi della fine del mandato dell’attuale Commissione, il futuro ruolo di Seibert rimane oggetto di attenzione. Alcuni governi europei auspicano una gestione più trasparente e collegiale, pur riconoscendo l’importanza di una guida efficiente. Se da una parte il suo contributo ha segnato con decisione la traiettoria della Commissione von der Leyen, dall’altra resta aperta la riflessione su come conciliare efficienza e partecipazione, visione e pluralismo.
Nel quadro dell’Unione Europea, fondata sul principio della sussidiarietà e sulla collaborazione tra istituzioni e popoli, la figura di Seibert rappresenta una delle tante sfide della governance europea contemporanea: coniugare il decisionismo con il rispetto delle dinamiche condivise.
Un centro senza identità non può attrarre
Da molto tempo si parla di nuova legge elettorale e di ricostituzione di un centro politico che possa raccogliere le istanze che da larga parte della società vengono avanzate e che non sono, oggi, adeguatamente rappresentate.
Tuttavia, parlare di “centro” significa dargli, innanzitutto, un costrutto ideologico chiaro, identitario, in guisa da consentire una sua demarcazione di valori che si differenzi da “centrodestra” e “centrosinistra”, o, meglio, dai loro ormai sfuocati contorni che l’attuale legge elettorale impone per creare due raggruppamenti, spesso poco omogenei in ambiti molto importanti (pensiamo alla politica estera, alla bioetica, allo stato sociale).
Senza una delineazione compiuta di questa formazione politica in un Manifesto valoriale e propositivo, si rischia di cadere nel presentismo dell’attualità; condizione di confusione, priva di un disegno organico e di una correlativa speranza di cambiamento.
I riferimenti forti della Prima Repubblica
Al tempo della cosiddetta Prima Repubblica, le ideologie erano molto più definite e ciascuna proponeva un modello di società che ben si differenziava da quello degli altri.
Questo, naturalmente, favoriva la valutazione della proposta e l’adesione convinta ad essa della cittadinanza, che poteva ben comprendere le diversità e le opposizioni esistenti nei partiti politici e ciò indipendentemente dal fatto che potessero, poi, sorgere coalizioni per governare insieme.
Per esempio, il Partito liberale stava nell’area conservatrice della destra liberale, rispetto alla Democrazia cristiana, che era centrista.
Così le forze socialiste avevano visioni molto diverse rispetto a quelle liberali in materia di concetto di società e collettività, individuo, intervento statale, proprietà dei mezzi di produzione, tutela del lavoro.
Cattolici e laici, poi, avevano una loro distinzione chiara sui temi etici, di filosofia morale di vita (matrimonio, aborto, dignità dell’essere umano, aiuto verso i più poveri e bisognosi, affermazione del collegamento fra bene dell’individuo e bene della collettività, limitazione dell’avidità e degli egoismi, benessere sociale col contributo di tutti, per citarne solo alcuni).
Società o individuo? L’insegnamento cattolico
Per esempio, per i cattolici esiste sia l’individuo che la società (pluralità degli individui avvinti nel gruppo sociale).
L’utilitarismo del singolo, tradotto nella massimizzazione del proprio Io e del proprio vantaggio, scollegato da un fine più ampio di ordine generale, che tenga conto degli interessi degli altri consociati, non pare sia in linea con l’insegnamento della dottrina sociale.
Del pari, l’asservimento della dignità dell’uomo alla Tecnica, alla sperimentazione senza limiti di forme di Intelligenza artificiale su esseri umani, in nome di un concetto di progresso che non ha un telos, un fine, o, peggio, che viene fatto per potenziare soltanto alcuni individui a scapito di altri, magari per trarne profitto, non rientra nell’accettabilità morale della Tradizione cristiana, ad avviso di chi scrive.
E cosa dire del fatto che si sia diffusa una concezione che ha reso l’«homo oeconomicus» misura del tutto, per citare il celebre detto di Protagora?
L’agire “razionale” (aspetto molto contestato oggi dalle neuroscienze) dell’essere umano nel segmento economico è finito per diventare la traccia da seguire nell’agire umano in tutti gli altri settori della vita.
Politiche economiche e impoverimento sociale
Così, l’indice Gini (che misura le diseguaglianze di reddito) dell’Italia, nel 1982 era al 29,2. Nel 2021 era al 34,8.
Gli esiti di certe politiche di smantellamento dello stato sociale, di privatizzazione crescente di beni pubblici, di abdicazione all’attività di indirizzo politico dell’attività economica pubblica e privata (come tuttora prescrive l’art. 41 della Costituzione repubblicana) hanno portato anche conseguenze negative sul piano del benessere generalizzato di larghi strati della popolazione, che si è impoverita e che reclama la doverosa attenzione in chi ha a cuore la sorte dei più deboli.
Per esempio, in tema di crescita dei prezzi, siamo così sicuri che non si possano rivitalizzare strumenti giuridici per calmierarli, almeno per i beni di prima necessità?
Ricordiamo che dal 1944 al 1993 esisteva il Comitato Interministeriale dei Prezzi che si occupava proprio di questo.
La concorrenza, da sola, in diversi settori, non ha mostrato di poter davvero operare quella virtuosa esigenza di moderazione del prezzo che ci si aspettava per soddisfare le esigenze di un dignitoso vivere civile di base.
Una proposta ispirata ai valori cristiani deve partire dai contenuti
Ecco, un centro cattolico dovrebbe iniziare anche a definire il perimetro della propria società auspicata, affrontando, fra gli altri, anche questi temi, consapevole che, senza una chiara identificazione di ciò che potrebbe proporre, quella parte che vocazionalmente potrebbe sentirsi rappresentata non sarà tratta dal torpore della propria indifferenza elettorale.