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lunedì, 14 Luglio, 2025
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Popolari, quale Europa? Riflessioni sul nuovo volto del Ppe

Il voto sulla fiducia alla von der Leyen riapre la questione dell’identità del Partito popolare europeo. Serve un nuovo inizio - una Camaldoli europea? - per chi si riconosce nel cattolicesimo democratico e sociale.

La mozione di sfiducia alla presidente von der Leyen, respinta giovedì scorso dal Parlamento europeo, ha avuto un esito scontato: 360 voti contrari, 175 favorevoli e 18 astenuti. Ma, come ha scritto Sergio Fabbrini su Il Sole 24 Ore di ieri, il significato politico del dibattito che l’ha preceduta è tutt’altro che secondario. Da quel confronto sono emerse almeno tre tendenze, tutte preoccupanti per la salute democratica dell’Unione.

In primo luogo, si è registrata la compattezza della destra nazionalista nel tentativo di delegittimare l’attuale assetto europeista. I tre blocchi – i Conservatori europei (ERC), i Patrioti per l’Europa (PfE) e i sovranisti dell’ESN – si sono allineati in una manovra comune. La sola eccezione è venuta da Fratelli d’Italia, che si è astenuta dal voto, pur appartenendo a uno di quei gruppi. È un’ambiguità tutta italiana, che rivela la difficoltà del partito della premier Meloni a scegliere tra responsabilità di governo e identità originaria.

Tuttavia, il caso più allarmante riguarda un altro fronte: quello dei popolari.

Il Ppe verso la destra

Come giustamente osservato da Fabbrini, Manfred Weber ha spinto il Partito popolare europeo verso destra. Non si tratta solo di una linea tattica, ma di una trasformazione culturale. Rincorrendo i temi cari alla destra antieuropeista – dal rifiuto della transizione ecologica alla critica del Green Deal – il Ppe cerca di strappare voti ai sovranisti, senza accorgersi che in questo modo ne rafforza la narrazione. E, come sempre accade, quando si insegue la destra, si finisce per perdersi.

In questo quadro, è surreale il silenzio di chi, in Italia, continua a evocare la nascita di un “nuovo soggetto popolare” come “sezione italiana del Ppe”, ignorando ciò che il Ppe è oggi. Non solo non ci si interroga sull’evidente mutamento della sua fisionomia, ma si accetta, di fatto, l’adesione a una destra che nulla ha a che vedere con la storia del cattolicesimo democratico.

Il ruolo mancato di Forza Italia

Il discorso riguarda tutto il mondo cosiddetto moderato. Infatti, anziché agire da fattore riequilibratore, Forza Italia si accoda, senza voce e senza spirito critico, a ogni scelta del gruppo parlamentare guidato da Weber. Tajani, a scapito della coerenza che rivendica come uomo di centro, finisce per apparire come l’ombra docile del capogruppo bavarese. Eppure, la stagione attuale richiederebbe l’esatto opposto: una leadership capace di ribadire il carattere storicamente riformista del popolarismo europeo. Quello dei De Gasperi e dei Monnet, non dei cloni di Orbán. Per questo non bisogna lasciar cadere la suggestione, avanzata gia due anni fa dal Card. Zuppi, di una “Camaldoli europea”.

Per un neo-popolarismo europeista

La verità è che oggi, più che un allineamento a un Ppe spostato a destra, servirebbe una rifondazione del pensiero popolare europeo. Un neo-popolarismo che, di fronte alla sfida dei dazi di Trump e alla crisi delle istituzioni europee, sappia rilanciare il progetto dell’Unione come soggetto politico e non solo come mercato.

Per farlo, occorre recuperare l’autonomia culturale del cattolicesimo democratico, il suo legame con la giustizia sociale e il primato della persona. Chi si riconosce in questa tradizione ha oggi il dovere di prendere le distanze dal Ppe così com’è, e di ripensare, con coraggio e intelligenza, una nuova presenza popolare nell’Europa che verrà.