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lunedì, 11 Agosto, 2025
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La Russia inventata: come Mosca riscrive la sua storia

Lo storico Konstantin Pakhaljuk smonta la “politica della memoria” voluta dal Cremlino, tra musei, leggende locali e antichizzazione artificiale. Con altro titolo, l’articolo firmato da Stefano Caprio è uscito il 9 agosto sull’agenzia del Pime.

A gennaio di quest’anno era uscito in Russia un libro dal titolo “Alla ricerca dell’antichità russa”, scritto dallo storico trentaseienne Konstantin Pakhaljuk, che dopo una brillante carriera in tante università russe e all’estero è stato infine bollato come “agente straniero” e costretto a riparare in Israele. Il libro è stato subito ritirato dalla vendita dopo la denuncia da parte del movimento ultra-conservatore delle “Quaranta quarantine”, in una fase di censura sempre più rigida di qualunque pubblicazione che non rispetti la politica statale e la proclamazione dei “valori tradizionali”.

Nel caso specifico il libro è stato accusato di “offesa sacrilega alla nostra Patria”, ma alcune copie hanno comunque raggiunto le biblioteche moscovite, e come ai tempi sovietici si diffonde in forma di samizdat, non più ricopiandolo a matita sottobanco, ma riprendendolo con la videocamera del telefono. Il “sacrilegio” dell’autore russo-israeliano consiste in realtà nel tentativo di chiarire le questioni aperte circa la vera identità russa, al di là delle dichiarazioni formali e altisonanti, che sono state molto ripetute in occasione del recente anniversario del Battesimo della Rus’ di Kiev.

La politica della memoria nelle province

Una domanda cruciale riguarda la “politica della memoria” nella provincia, nelle cento regioni della Federazione russa in cui vivono duecento etnie piccole, grandi e piccolissime. Che cosa in verità “ricordano” le regioni della “grande storia russa”, fino a che punto si identificano con essa? Quanto della “russicità” dipende davvero dalla “antichità russa”?

Non senza una buona dose di ironia, Pakhaljuk osserva che gli attuali “Z-patrioti”, i sostenitori della guerra della Russia contro il mondo intero, non sono molto propensi ad approfondire le questioni del passato per evitare incertezze e contraddizioni, e quindi questo compito se lo deve assumere un “agente straniero”, più libero da pregiudizi e schemi mentali.

Oltre il neo-medievalismo

Lo sguardo dello storico sul “neo-medievalismo” russo non vuole essere solo un “ritorno al passato”, lasciandosi trascinare da nostalgie e modelli idealizzati, alla ricerca delle proprie radici. Konstantin intende ampliare la prospettiva, offrendo una visione della storia russa “de-centralizzata”, che tenga conto di tanti fattori diversi, cosa particolarmente importante nel contesto degli eventi attuali.

Uno degli elementi che sollecitano molto la sensibilità sia dei vertici che delle varie popolazioni locali, infatti, è la crescita di un nazionalismo russo radicale a fronte dei vari nazionalismi etnici minori, che si esprimono in tante forme differenti. Pakhaljuk però non intende confrontare l’etnia russa con le altre, ma si concentra proprio sul livello di “russicità” delle regioni propriamente russe, come le 12 regioni della Russia centrale oltre a Mosca, quelle di Smolensk, Rjazan, Velikij Novgorod, Tver, Vladimir, Brjansk, Ivanovo, Kaluga, Orel, Kostroma, Tula e Jaroslavl.

Chi è il “vero russo”?

Quale di queste è la più russa, considerando che Mosca è sorta dopo quasi tutte le altre? Lo stesso attributo di “russo” viene collocato accanto a figure sociali, professionali o religiose: il contadino russo, il mercante russo, il nobile russo o il russo ortodosso. Molte di queste definizioni si riferiscono propriamente al territorio, alle storie delle città e dei principati, agli oggetti e alle strutture che esprimono l’anima russa, dai vari Cremlini alle sacre icone, ma è come se sfuggisse alla classificazione proprio “l’uomo russo”.

In buona parte questa memoria è stata cancellata nel “giogo sovietico” del XX secolo, e ogni tentativo di restaurarla appare piuttosto confuso e artificioso, tanto che nella retorica di Stato la “identità russa” sembra sovrapporsi principalmente alla “identità sovietica”, come nel caso dello stesso zar-presidente ed ex-capo del Kgb, Vladimir Putin, e perfino del patriarca Kirill (Gundjaev), anch’egli noto ex-agente del Kgb.

L’identità russa tra provincialismo e mito imperiale

Spesso si esaltano nelle ricostruzioni storiche i personaggi che dalla provincia si sono distinti a livello nazionale (sovietico, federale), come i grandi della rivoluzione, Vladimir Lenin che proveniva dalla borghesia meridionale di Simbirsk, per non parlare dell’ebreo ucraino Lev Trotskij o del georgiano Josif Stalin. In fondo, gli zar Romanov avevano perso la purezza genetica russa fin dal Settecento, e l’ultimo imperatore Nikolaj II aveva meno di un decimo di sangue russo.

L’identità russa appare in questa retrospettiva come una forma di provincialismo, vista la diversità etnica dei suoi eroi, di cui l’ultimo vero russo proveniente dalle profondità della Siberia fu il monaco auto-chiamato alle vette dello spirito, Grigorij Rasputin.

La “coscienza russa universale”

Proprio per questo uno degli scopi ideologici dell’attuale dirigenza del Cremlino è quello di instillare nella popolazione una vera “coscienza russa universale”, superando le divisioni e il senso di marginalità tipico di un popolo disperso su un territorio sempre pieno di insidie, a meno di dominarlo con una proiezione ancora più vasta e senza confini.

Il “vero russo” non sopporta di essere escluso o emarginato, ha bisogno di sentirsi sempre “al centro”.

Musei e miti locali

Nell’ultimo decennio sono stati aperti in Russia oltre un centinaio di musei locali, dedicati non solo alla retorica bellica e agli eroi militari locali, ma anche al desiderio di “iscriversi all’antichità russa”, ribadendo a livello regionale l’ansia di superare l’insignificanza nazionale, federale e globale, magari appellandosi a qualche vaga citazione nei manoscritti delle cronache più vetuste.

La città nord-occidentale di Pskov esalta i 1.100 anni della sua storia iniziata più di cinquanta anni prima del Battesimo di Kiev. Oppure la città di Jaroslavl nella Russia centrale, che si fonda sulla leggenda del principe Jaroslav il Saggio, figlio di Vladimir, che sconfisse un orso a mani nude.

Tra leggenda e storia effettiva

Queste storie arcaiche e fantasiose in realtà non corrispondono allo sviluppo effettivo di queste città e regioni, la cui attività storica risale al massimo a 5-600 anni fa. La stessa Mosca cominciò a imporsi dopo il 1300 e divenne centro imperiale con Ivan il Terribile a metà Cinquecento, quando si diffuse l’ideologia della “Terza Roma”.

Come afferma Pakhaljuk, la “antichizzazione artificiale” è la vera chiave di lettura dei russi di oggi, e anche dei secoli precedenti: la voglia di essere i primi, i più “tradizionali” e originari, senza voler ammettere di aver ricevuto tutto dagli altri, sia da Occidente che da Oriente.

Oltre i miti dorati

In questo modo si svuota di significato anche la reale antichità della Russia, testimoniata da importanti monumenti architettonici come nella grande Novgorod, a Pskov e a Vladimir, o davanti allo splendido Cremlino di Nižnij Novgorod. Non servono i “miti dorati” per comprendere il valore di queste testimonianze storiche, così come la vera identità storica si comprende nelle relazioni tra i tanti centri provinciali, europei e asiatici.

La Russia che abbiamo perso

In tutti i musei locali, e nelle narrative sovrapposte della propaganda, si diffonde il culto della “Russia-che-abbiamo-perso”, sublimando con le epoche lontane anche la nostalgia per la grandezza sovietica. Il ritorno al passato è il contenuto fondamentale dello spirito patriottico, che giustifica le repressioni contro gli “agenti stranieri” e la guerra contro la distruzione dei “valori tradizionali”, per esaltare un mondo russo che forse non è mai esistito, almeno non come viene raccontato ai cittadini nelle favole della propaganda di Stato.

Per leggere l’articolo originale di AsiaNews clicca qui