Nel “Foglio” di ieri, lunedì 11 agosto, Filippo Sensi ha firmato un lungo reportage dall’America, che è anche un messaggio politico al Pd. Protagonista Marie Gluesenkamp Pérez, giovane deputata democratica eletta in uno dei distretti più “trumpiani” dello Stato di Washington. Una figura fuori schema: progressista sui diritti civili, ma severa sul controllo delle frontiere, sostenitrice della manifattura nazionale e dei temi locali, lontana dalle parole d’ordine della sinistra radicale incarnata da Alexandria Ocasio-Cortez. Nondimeno, fautrice del pieno sostegno all’Ucraina.
Il suo metodo è semplice e spiazzante: meno ideologia, più concretezza; meno scontro frontale (con Trump), più attenzione alle infrastrutture, al costo della vita, alla sicurezza. È la voce di un’America che rifiuta la polarizzazione e riscopre il valore del sano compromesso. Non è il “centro” classico — parola oggi fuori moda in giro per il mondo — ma un centrismo pratico, di contenuti, che sfida il radicalismo esplicito o latente, di per sé lesivo dell’immagine e della credibilità del partito democratico americano.
Un segnale per il Pd
Sensi, parlamentare di garbata ma ferma opposizione alla linea di Elly Schlein, sembra suggerire al Pd di osservare attentamente questo modello: un riformismo concreto, flessibile, responsabile, capace di parlare a mondi diversi senza rinunciare alla propria identità. Ma la questione è che, per l’Italia, la traduzione non è automatica.
Dunque, la lezione americana dice che nei dem statunitensi riaffiora una voglia di plasmare l’agenda in senso più centrista, contro una politica che si nutre di retorica anti-Trump. In Italia, però, questa “voglia” di centro nel Pd non c’è. Anzi, la segreteria Schlein consolida la sua linea identitaria, tutta spostata a sinistra, che difficilmente verrà archiviata almeno fino alle elezioni.
Il nodo che Sensi non scioglie
E qui sta il punto: il reportage del giornalista Sensi dovrebbe convincere il politico Sensi della necessità di una vera svolta al centro, non della sola speranza di correggere dall’interno una linea che il Pd non è in grado di cambiare. Gluesenkamp Pérez sfida il suo partito dall’interno e forse, non da sola, ha buone chance di vincere il confronto, per riportare i dem al centro. In Italia, questa prospettiva esiste solo al di fuori dal Pd.
Ebbene, proprio sulla scia dell’analisi che Sensi propone, il riformismo che serve non può che passare da un’aggregazione politica autonoma di centro, capace di non essere subalterna né alla destra né alla sinistra. Un centro moderno, riformista, inclusivo, che sappia interpretare un bisogno di concretezza ed equilibrio.
Il rischio dell’attesa…del Pd
Affidarsi all’idea che la leadership della Schlein possa essere “archiviata”, significa illudersi e restare fermi. La realtà è che la segretaria dem non arretrerà di un millimetro fino all’appuntamento con le urne, sicché la domanda sociale e politica di una rappresentanza riformista e responsabile rischia di restare senza risposta.
In fondo, il racconto che Sensi fa della deputata americana dice proprio questo: la gente vuole qualcosa di diverso. Vuole vedere i problemi tradotti nell’ambito di formule costruttive, in atti di governo a prova di ragionevolezza, lontano dagli slogan. È la definizione di una politica di centro — concreta ed aperta, radicata e non radicale — che in Italia attende ancora di trovare il suo interprete autorevole.