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giovedì, 14 Agosto, 2025
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Alaska 1 – Due giocatori d’azzardo

Trump e Putin, tra bluff e mire espansive: il Ferragosto in bilico tra diplomazia e ricatti territoriali, con l’ombra di Zelensky e il silenzio strategico di Pechino.

C’è grande attesa per l’incontro bilaterale Trump-Putin previsto per il giorno di Ferragosto in Alaska, un luogo simbolico e lontano dalle capitali della diplomazia, equidistante da Washington e Mosca, con l’affiorante incognita di una presenza all’ultima ora di Zelensky. Per quello che sappiamo dei personaggi sembra un’ipotesi poco probabile, ma le vicende dei pregressi incontri annunciati sono sempre state condizionate da incertezze, veti incrociati e smentite.

Più che di una partita a scacchi si tratterà di uno spudorato incontro a poker: resta da vedere se i due giocatori professionisti dell’azzardo caleranno una scala reale o l’ennesimo bluff. Che prima o poi si debba trovare una soluzione a questa guerra che dura da oltre 1260 giorni sta nelle corde dei protagonisti: sono tutti sfiancati dal logorio del protrarsi del conflitto, anche Mosca, che avanza pretese tipo “ordino-comando e voglio”, sa bene che l’asticella del rischio e della posta in gioco non può alzarsi all’infinito.

Le richieste di Mosca

Le richieste del Cremlino sono di una spudoratezza travolgente: annessione senza condizioni dell’area sud-orientale del Donbass, cioè delle regioni di Lugansk – già interamente controllate dalle truppe russe – e di Donetsk, con ulteriori possibili estensioni, se la fagocitosi di Putin sarà vorace, alle regioni meridionali di Zaporizhzhia e Kherson, parzialmente occupate dalle forze di Mosca lungo la fascia costiera sul Mar d’Azov che collega il Donbass alla Crimea, annessa dalla Russia fin dal 2014.

Il metodo Trump

Trump predilige il poker alla lentezza della scacchiera, l’istinto alla meditazione, anche se l’Europa – a cominciare da Macron, Merz, Starmer e la stessa Ursula von der Leyen, a cui si aggiunge Giorgia Meloni, che non vuole strappi con la Casa Bianca – lo sta tirando per la giacchetta verso la soluzione diplomatica. L’obiettivo è convincerlo che nessuna trattativa può partire con la conditio sine qua non (traducasi: ricatto) di una cessione di territori ucraini.

Che opti per l’azzardo lo ha dimostrato con la vicenda dei dazi, oltre ad averlo detto chiaro e tondo a Zelensky, sia nel siparietto alla Casa Bianca sia nell’improvvisato tête-à-tête in San Pietro ai funerali di Papa Francesco: “Non hai le carte”, ripete come un mantra, ovvero “la partita la conduco io per tirarti fuori dall’impiastriccio della guerra”, che Trump vede più come fastidio che come tragedia umanitaria. Per lui, Ucraina significa terre rare e nuovi mercati.

Una logica mercantile

Tutta la storia dei sottomarini schierati per colpire la Russia è più coreografia che realtà: un bau-bau verso un Putin che non si lascia impressionare e risponde con contromisure militari. Sul tappeto verde della posta in gioco, la cessione di territori alla Russia equivale al rilancio di altre annessioni annunciate – Canada e Groenlandia in primis – e all’avvertimento all’Europa di tacere per non vedere alzare la posta dei dazi.

La “trattativa” avrebbe così il volto di un do ut des, in perfetta sintonia con la logica mercantile di Trump.

La resistenza di Kyiv

Se Zelensky non intende cedere al Cremlino neanche un villaggio, è perché sa di avere alle spalle un popolo sfiancato ma determinato a resistere. Ma su questo non ci sarà mai l’appoggio degli USA: la Casa Bianca ha lasciato intendere che la mediazione non si fonda su bandiere, ideali o autodeterminazione dei popoli. La Statua della Libertà si è già voltata dall’altra parte: solo gli interessi possono portare a una soluzione, anche se pare implicito che ciò comporti la resa di Kyiv. In caso contrario, ostacoli e ritorsioni metteranno a rischio le mire statunitensi su Canada e Groenlandia.

Rischi interni e variabile cinese

Questi due uomini da poker d’azzardo sembrano non dare peso alle resistenze dei popoli, all’inviolabilità dei confini e alle possibili implosioni interne, ignorando i costi politici che opposizioni e fallimenti potrebbero far pagare alla loro leadership.

La partita è imprevedibile perché Trump e Putin allungano le mani sul mondo con mire espansive, ma gli altri attori e i comprimari non stanno a guardare.

Si aggiunge infine il silenzio inquietante della Cina: le mire su Taiwan restano attive. Xi Jinping applica la filosofia orientale della “lancia e dello scudo” in una strategia paziente e attenta. Se in Alaska passerà una prova di forza, Pechino potrà sentirsi libera di inglobare l’isola e farne un atout economico di rilievo nello scacchiere mondiale.