La figura di Don Giovanni Minzoni si impone alla nostra ammirazione, e si imporrà all’ammirazione dei tempi futuri, perché il suo nome è scolpito nella storia d’Italia per tre fondamentali profili: la dedizione all’ideale patriottico, la concezione dell’apostolato sacerdotale, come impegno morale e civile, la lotta fino all’estremo sacrificio per la libertà, per la democrazia, per la giustizia.
Della guerra Don Minzoni non poté non avvertire, anzi avvertì, come si registra nel suo diario, il significato disumano, ma tale visione egli non esaurì nell’amara e sofferta accettazione di una lacerazione dell’insegnamento e del senso di fraternità, e non si esaurì neppure in atti di mera pietà, ma volle invece convertire in un impegno di assistenza morale e religiosa andando Cappellano sui campi di battaglia insieme con quei fanti che, come lui scrisse nel diario, “erano i poveri”. E quando l’ora dell’estremo pericolo fece sentire tutti fratelli, non solo nel sangue, ma nell’ideale patriottico, si unì ai soldati in un gesto disperato e glorioso di combattimento che gli meritò la Medaglia d’Argento al Valor Militare. Fu quindi Cappellano solerte, apprezzato, rispettato e amato, e fu combattente coraggioso ed eroico.
La missione parrocchiale Don Minzoni non intese solo, e già questo era sufficiente a dare splendore alla sua anima, come un impegno di guida dei fedeli a lui affidati, una guida da esercitare nella sacertà interna del tempio. Ma egli volle realizzare, incarnare, consacrare, con la sua opera, il valore sociale ed umano del Messaggio cristiano; e quel senso di sgomento che lo prese al primo contatto con questa popolazione nell’assistere al divorzio, per lui e per noi assurdo, fra la povera gente ed il Messaggio cristiano, gli dette la spinta, l’impronta e la forza morale di essere accanto ai poveri contadini umiliati e oppressi in quell’ora, non solo col sostegno e col conforto della preghiera, ma per renderne meno amara la faticosa e tormentosa giornata, con lo stimolo e con l’esempio di opere sociali.
Fu quindi dispensatore di sacramenti, guida alla preghiera, ma alta e splendida voce del concetto sociale del Messaggio cristiano. La lotta politica egli intese sempre con distacco e con attenzione. E dell’ingresso dei cattolici nella vita pubblica italiana e della loro opera egli avvertì l’importanza e la funzione, anche e soprattutto per il profilo sociale. Ma tuttavia si tenne, come era suo dovere, distaccato dalle lotte elettorali, fino a quando l’impegno politico non si rivelò al suo animo come un momento morale. Cioè fino a quando egli si accorse che non si trattava più delle alterne vicende di formazioni politiche, ma si trattava di combattere per impedire che il soffio potente della libertà, che alimenta la democrazia, sorregge il progresso, ed è il grande respiro del Messaggio cristiano, fosse minacciato dalla morte.
E quindi, come scrisse e fu ricordato dal Sindaco, passò il Rubicone «forse […] per me la persecuzione, forse la morte, per il trionfo della causa di Cristo». E la morte venne, col crisma del martirio, a sanzionare l’indissolubile duplicità della sua vita come impegno religioso e come missione civile. Ed egli poté affrontare questa morte con la lucida visione di quello che costituiva il senso del suo sacrificio e del suo martirio.
Oggi, a distanza di 50 anni dal suo martirio, egli, non tanto dal piedistallo di un prestigioso monumento, quanto dal più alto piedistallo della pagina che ha scritto nella storia della democrazia, nella vita pubblica dei cattolici in Italia, nel suo Paese, ci addita due insegnamenti inseparabili. Il sacerdote invoca, come invocò nel momento estremo della morte, il perdono, invitando alla tolleranza, alla dispersione di ogni triste seminagione di odio, alla pace sociale.
Il combattente per la libertà, il martire della democrazia, ci ammonisce ad essere vigili sempre nel difendere le istituzioni, nell’arricchirle di costruttiva vita interiore, nel consolidarle di giustizia sociale, nell’esaltare i valori patriottici, nel perseguire, con sempre maggiore impegno, nelle opere, nel pensiero, nella preghiera, la pace all’interno e la pace fra i popoli, mai come in questo triste momento per il Mediterraneo, mare di grandi pensieri e di grandi […], un appello che deve essere lanciato alla nostra anima latina e cristiana.
Questa, cittadini di Argenta, è ora di grande impegno morale. Questa è ora di grandi ispirazioni. Ebbene, quelli che come Don Minzoni sono morti per gli ideali di patriottismo e di libertà, costituiscono e costituiranno sempre un alto punto di riferimento morale per il nostro Paese; costituiranno un punto di riferimento soprattutto per i giovani, ai quali noi vogliamo ricordare che al loro impegno, alla loro tormentosa ed inquieta ricerca, devono dare un’alta tensione morale, che è la condizione essenziale per il progresso civile e morale di un Paese.
Cittadini di Argenta, è una felice occasione che il Presidente della Repubblica, che in questo momento sente l’onore e la responsabilità di rappresentare l’unità nazionale, possa, nello stesso tempo in cui rende omaggio alla memoria di Don Giovanni Minzoni, appuntare sul vostro Labaro la Medaglia d’Oro al Valor Civile.
Vi è un arco ideale che ricongiunge il sacrificio di Don Minzoni con la vostra sofferenza. Se Don Minzoni non fosse stato trucidato, e con lui la democrazia in Italia, non avremmo avuto una guerra, che noi non sentimmo, e che tuttavia — e amo sempre ricordarlo — i combattenti sostennero con impegno, con coraggio e con eroismo. E il nostro ricordo per quelli che sono caduti in tutte le guerre deve essere perenne. Più sfortunato è il risultato di una guerra, più alto e splendente è il sacrificio di chi è caduto in una guerra nella quale anche le popolazioni civili furono terribilmente esposte.
E noi ricongiungiamo la sofferenza dei cinque anni, le distruzioni, i bombardamenti, le morti, le sofferenze, tutto ciò che vi è stato nel vostro animo di luttuoso, di triste e di amaro, con la memoria di Don Minzoni, e fondiamo questi due momenti della vostra storia in una sola invocazione: operiamo, cittadini di Argenta, operiamo, italiani, con il nostro costume, con le opere, l’impegno, perché la democrazia sia più viva, perché la pace risplenda all’interno del nostro popolo e di tutti i popoli del mondo.
(Fonte: Portale storico della Presidenza della Repubblica – link)
N.B. L’inaugurazione del monumento da parte di Giovanni Leone, il 13 ottobre 1973, completò il ciclo delle commemorazioni dell’arciprete di Argenta in occasione del 50° anniversario della sua uccisione.
In precedenza, il 5 agosto, la Dc aveva organizzato a Ravenna in forma solenne la riunione del suo Consiglio nazionale. Nella circostanza, fu Mario Scelba a ricordare la figura di don Minzoni con una relazione di ampio respiro storico e politico.
Per eventuali approfondimenti, si segnala che due anni fa, sul “Riformista”, uscì l’articolo di Lucio D’Ubaldo: questo è il link per leggere il testo
https://www.ilriformista.it/scout-e-popolare-don-minzoni-martire-del-fascismo-377302/