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martedì, 26 Agosto, 2025
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Draghi e il destino europeo: il pantheon delle idee in cerca di un centro

Dal Meeting di Rimini un appello sobrio e potente: l’Europa non può restare spettatrice, ha bisogno di una scelta chiara, di istituzioni forti e di un principio unificante.

Nel vasto e complesso pantheon dell’Unione Europea riecheggiano, ancora oggi, molte voci, molte fedi civili e politiche che si intrecciano, si sovrappongono, talvolta si scontrano. Ogni Paese membro ha portato con sé un bagaglio di esperienze, di tradizioni, di convinzioni profondamente radicate.

Da queste differenti radici emergono riti e credenze differenti. C’è chi invoca con fermezza l’austerità come principio imprescindibile per la stabilità economica, chi invece mette al centro la sovranità nazionale come ultima e inviolabile garanzia di identità e autodeterminazione. Altri ancora affidano le loro speranze nella promessa di una più profonda integrazione economica, vedendola come la strada obbligata per una crescita condivisa e sostenibile. Vi sono poi coloro che elevano la transizione ecologica a nuovo atto fondativo dell’Europa, immaginando un futuro verde e resiliente come vera ragione d’essere del progetto europeo. E non mancano coloro che considerano la sicurezza condivisa, in un mondo sempre più instabile, come pilastro indispensabile per salvaguardare vite e valori.

Tuttavia, questo coro, pur ricco e potente, suona spesso dissonante. Mancano infatti quei tratti di una liturgia comune, di una visione condivisa capace di unire e orientare l’azione politica e istituzionale.

Lassenza di un centro politico

Non basta coordinarsi. Serve un centro, un principio unificante, un’idea guida che possa infondere senso e direzione al progetto europeo. È esattamente questa assenza che Mario Draghi ha messo in luce con chiarezza e sobrietà nel suo recente intervento al Meeting di Rimini. Con parole misurate, ma dal peso politico inequivocabile, ha posto una domanda essenziale, che più di ogni altra interpella il destino stesso dell’Europa.

Vogliamo davvero costruire un’Europa politica, dotata di istituzioni legittimate, di poteri effettivi condivisi, di una volontà unitaria capace di decidere e agire? Oppure preferiamo continuare a vivere in un’Europa che coordina, media, discute, ma non decide, non guida, non incarna un progetto di comunità? Questa domanda, lungi dall’essere un mero esercizio retorico, è un appello urgente.

La scelta non più rinviabile

L’Europa si trova davanti a scelte decisive. In un contesto internazionale caratterizzato da conflitti che si avvicinano alle sue stesse porte, da profonde trasformazioni tecnologiche e industriali, da crisi demografiche che mettono in discussione i modelli sociali ed economici consolidati, è indispensabile una risposta comune, forte, condivisa.

Accanto a queste sfide esterne, si somma però un problema interno non meno grave: l’incapacità di dare forma a un’intelligenza collettiva, a una vera volontà comune che sappia superare divisioni, egoismi e inerzie. Draghi non ha rivolto il suo discorso contro qualche parte politica specifica o qualche schieramento. Ha parlato per l’Europa, con l’intenzione di scuotere le coscienze di una classe dirigente spesso intrappolata in un limbo.

Un limbo fatto di europeismo di maniera, rituale e senza sostanza, e di sovranismo nostalgico, che guarda indietro con diffidenza e paura. Il suo europeismo è dunque un europeismo concreto, disincantato, operativo. Non si tratta di un’utopia ideale o di un progetto astratto, ma di una necessità urgente, quasi vitale.

La fede laica del costruire

Draghi ha ricordato che certe sovranità, lungi dal dissolversi quando vengono condivise, si rafforzano proprio grazie a questo processo. Il vero problema oggi non è dunque il pluralismo in sé, ma l’assenza di una scelta chiara, di una direzione che guidi le nostre politiche comuni.

La discussione se costruire un’Europa federale, dotata di istituzioni forti e di una reale sovranità politica, o un’Europa intergovernativa, che resta una somma di Stati affiancati ma sostanzialmente autonomi, è troppo spesso rimandata, nascosta dietro il velo di tecnicismi che servono più a nascondere che a chiarire. Ma questa è una questione eminentemente politica, forse la più importante del nostro tempo.

Non si tratta di una costruzione teorica o accademica, ma della capacità concreta dell’Europa di proteggere i propri cittadini, di governare con efficacia le grandi transizioni che stiamo vivendo, di contare e influenzare lo scenario globale. Senza strumenti comuni, senza una volontà unitaria, l’Europa sarà sempre costretta a inseguire gli eventi, a restare interlocutrice e non protagonista, spettatrice e non attore delle trasformazioni globali.

Il pantheon europeo, dunque, ha bisogno di un centro. Di un principio vivente e condiviso, attorno al quale ricostruire coesione, fiducia e coraggio. Draghi non ha imposto una dottrina o un dogma, ma ha sollevato il velo della retorica e della superficialità, richiamando tutti a una visione lucida e responsabile.

Ha parlato con la libertà di chi guarda avanti, non per nostalgia, ma per senso di responsabilità verso le nuove generazioni e verso il futuro. Ora la parola passa ai leader europei. La scelta è chiara e ineludibile: continuare a essere officianti di un culto senza anima, con un’Europa che resta una somma di particolarismi e riti slegati, o avere il coraggio di dare finalmente un volto e una voce a una cittadinanza politica comune, reale e concreta.

È una sfida che richiede fede laica nel costruire, passione per l’impegno concreto, e soprattutto coraggio. Un coraggio che deve essere ispirato dalle parole di chi, come Alcide De Gasperi, seppe immaginare l’Europa non come un’idea astratta o un’utopia irraggiungibile, ma come un progetto da edificare giorno dopo giorno, passo dopo passo.

Le sue parole tornano oggi più attuali che mai: «L’Europa non è un’improvvisazione, ma una realizzazione progressiva. E sarà tanto più solida quanto più sarà costruita su fatti e solidarietà.»

Oggi, dunque, più che mai, serve quella fede laica del costruire, che non è semplicemente una speranza, ma una scelta politica, una responsabilità collettiva. Serve il coraggio di scegliere e di agire, per trasformare il pantheon europeo in un organismo vivo e vitale, capace di affrontare le sfide del nostro tempo e di costruire insieme un futuro di pace, prosperità e giustizia.