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martedì, 9 Settembre, 2025
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La caduta di Bayrou e l’incubo della radicalizzazione: si torna al proporzionale?

La crisi francese non va letta con emotività o strumentalità. Il rischio è la dissoluzione del centro a vantaggio della destra lepenista. Macron deve agire per evitare il collasso democratico, anche cambiando la legge elettorale.

Destra e sinistra hanno dato la sfiducia all’ultimo democristiano di Francia. È la prima volta che un governo cade in questo modo, con il primo ministro che gioca la carta della verifica davanti all’Assemblea nazionale e qui registra, com’era previsto fin dall’inizio di partita, l’opposizione di Mélenchon e Le Pen, passando per i socialisti, ovvero di tutto ciò che non è “centro” e non vuole soprattutto misurarsi con l’acuirsi della crisi per eccesso di deficit e d’indebitamento della “douce France”.

Torna la IV Repubblica?

Ora, c’è un errore che non possiamo permetterci: leggere la crisi francese con la lente della pura emotività o, peggio, della strumentalità politica. In Italia, come altrove, qualcuno si affretta a celebrare l’uscita di scena di Bayrou come una resa dei conti inevitabile, senza cogliere l’elemento preoccupante: l’erosione del centro e l’accentuarsi della spinta radicale. A occhio, complice il populismo degli “Insoumis” e lo smarrimento dei (pochi) socialisti, a trarne vantaggio potrebbe essere un domani sempre più vicino il Fronte Nazionale, impegnato a presentarsi in veste nazional-popolare e anti europeista come unica alternativa forte al logoramento dell’esperienza macroniana.

La sfiducia di ieri va ben oltre la normale routine parlamentare. È il segnale di un’Europa che rischia di perdere la Francia come suo vettore nell’azione di contenimento del neo imperialismo russo e come punto di riferimento nella transizione post atlantista imposta dall’America di Trump. Lo spettacolo della instabilità, con la richiesta di nuove elezioni (Le Pen) e più ancora con l’appello alle dimissioni di Macron (Mélenchon), spingono molti autorevoli osservatori a parlare di un ritorno agli anni fragili della IV Repubblica. Intanto, contro tutto e tutti, la piazza si prepara alla lotta: il movimento “Bloquons tout” annuncia scioperi e proteste a catena.

 

Il discorso di Bayrou

A dare il tono al passaggio politico non facile, per certi aspetti anche drammatico, è stato proprio Bayrou nel discorso all’Assemblea nazionale. Alcune affermazioni meritano di essere riprese. «Questa prova di verità, come capo del governo, con l’assenso del Presidente della Repubblica, l’ho voluta». […] Poi ha aggiunto: «Alcuni di voi hanno pensato che fosse sconsiderato, un rischio troppo grande; e invece, io penso l’esatto contrario. Il rischio più grave sarebbe stato non prenderlo, lasciare tutto com’è, senza che nulla cambi». E infine, dopo aver riassunto le ragioni dell’appello alla responsabilità, si è lanciato in un duro ammonimento: «Un voto non cancella la realtà. Quella realtà rimane e si impone». Chi lo andrà a spiegare al popolo della protesta, rabbiosamente ostico a qualsiasi richiamo all’inevitabile bagno di realismo?

 

Il bivio di fronte a Macron

Ora Macron deve decidere se tentare una nuova alleanza, fragile ma necessaria, o andare al voto anticipato con il rischio concreto di consegnare l’Assemblea all’onda lepenista. L’alternativa, pare di capire, non esiste: Macron non intende dimettersi e nemmeno immagina, a questo punto, di riportare il Paese alle urne per la seconda volta dal 2022.

Ebbene, i tempi sono stretti: il bilancio 2026 incombe ed è in gioco la credibilità della Francia sui mercati. Bisogna inventare un percorso nuovo, anche al di là dell’urgenza finanziaria. Stamane Robert Guetta, europarlamentare vicino al Presidente, ha confidato al Corriere della Sera che serve anche una riforma elettorale di tipo proporzionale, essendo chiaro che il sistema uninominale a doppio turno non è più in grado di assicurare il necessario equilibrio tra rappresentanza e governabilità. Insomma, in giro per l’Europa rimangono solo Giorgia Meloni (ma per quanto?) ed Elly Schlein a credere alle virtù del maggioritario.

Infine, una domanda resta aperta: Bayrou ha sbagliato a forzare la mano, o ha compiuto un atto che merita rispetto? Probabilmente entrambe le cose. Ma è certo che la Francia non può gioire dell’ennesima defenestrazione di un Primo Ministro, ma deve interrogarsi sulla sua capacità di ricostruire da qui al 2027 un centro politico solido, pena la deriva verso alternative dannose, non solo per Parigi.