Inizio subito col dire che, a seguito del discorso appena pronunciato dalla Presidente Von der Leyen, le materie di riflessione sono naturalmente molteplici e tutte di indubbia rilevanza. La Presidente ha appena citato l’importanza di vivere in un’Europa libera e indipendente, la centralità dei numerosi focolai di guerra attivi e il fatto che sia inverosimile prescindere dal fatto che il mondo odierno non fa sconti.
Ognuno di questi elementi, e ognuno degli obiettivi delineati dalla Presidente, ha un denominatore comune: il futuro. Un futuro che non può essere concepito come un orizzonte lontano e indefinito, ma come una traiettoria concreta da costruire oggi, passo dopo passo, con visione e responsabilità. La vera domanda, dunque, è: chi sarà protagonista di questo futuro europeo?
Noi, giovani europei
La risposta è evidente: saremo noi. Saremo noi giovani europei, che crediamo fortemente nell’Europa, nell’Unione e nei principi e valori che la fondano. Ma la nostra voce non può essere semplicemente evocata come retorica.
Noi vogliamo essere spettatori di decisioni già scritte; vogliamo essere co-autori di questo progetto politico che chiamiamo Unione Europea.
Parlare di orizzonte intergenerazionale non significa evocare uno slogan accattivante, ma significa disegnare istituzioni, politiche e scelte capaci di resistere al tempo, capaci di integrare l’esperienza delle generazioni precedenti con la spinta ideale di quelle future.
Un orizzonte intergenerazionale
Intergenerazionalità significa che i sacrifici, i risultati e le conquiste non sono mai di una sola generazione, ma di tutte. È in questa prospettiva che realtà come UT OMNES, un gruppo di giovani ambiziosi impegnati nella cittadinanza attiva, testimoniano ogni giorno come un orizzonte intergenerazionale pieno di progresso e sviluppo sia possibile, muovendosi nel solco di principi quali il forte credere nell’Europa, nella solidarietà e nell’unità.
Il punto è proprio questo: oggi l’Europa affronta sfide senza precedenti, dalla difesa comune alla transizione verde, dalla gestione dei flussi migratori alla digitalizzazione. Nessuna di queste sfide potrà essere affrontata con una prospettiva ristretta al presente. Se pensiamo solo in termini di breve periodo, l’Europa non costruirà futuro; costruirà solo emergenze.
Chiedere di più
E allora il nostro compito, come giovani, è chiedere di più. Chiedere che le politiche europee guardino a dieci, venti, cinquanta anni da oggi. Che il NextGenerationEU non resti un piano straordinario legato a una pandemia, ma diventi un paradigma permanente di investimento nelle nuove generazioni. Che la cittadinanza europea non sia un concetto giuridico astratto, ma un’identità vissuta, che includa diritti, opportunità e responsabilità condivise.
Essere europeisti oggi non significa essere ciechi di fronte alle difficoltà. Significa avere il coraggio di dire che l’Unione, per restare fedele a sé stessa, deve essere più audace, più giusta e più inclusiva. Significa ricordare che l’Europa non nasce per gestire solo l’esistente, ma per superare le divisioni, per trasformare conflitti in comunità.
Fame di futuro
Noi giovani europei non abbiamo nostalgia di un passato che non abbiamo vissuto. Abbiamo piuttosto fame di futuro. Vogliamo un’Europa che non ci dica solo cosa siamo, ma ci indichi cosa possiamo diventare insieme. Un’Europa capace di essere non solo spazio geografico o istituzionale, ma un orizzonte intergenerazionale, che unisce ciò che è stato con ciò che sarà.
E allora permettetemi un’ultima considerazione: non chiedeteci di credere nell’Europa. Dateci un’Europa che creda in noi.
Solo così, tra venti o trent’anni, potremo dire che i valori evocati nei discorsi e nelle aule accademiche non sono rimasti parole, ma si sono incarnati nella vita di milioni di cittadini europei. Solo così potremo dire che il futuro dell’Unione è stato davvero costruito con una prospettiva autentica, solida e intergenerazionale.