Dove è finita oggi la politica? In un mare di discredito, in una palude di utopie e ideologismi spesso a buon mercato. È tempo di rivendicare una funzione alta della politica come “arte del possibile”, i cui capisaldi sono il riconoscimento della propria collocazione all’interno di una «comunità di destino» e l’elaborazione di «un patto che ci lega» (il costituzionalismo democratico).
Negli ultimi anni, assistiamo a una domanda crescente di “buona politica” declinata in varie forme: volumi, seminari, appelli pubblici, corsi di formazione, Summer School (valide per tutte le stagioni). Segno di un rinnovato interesse della cittadinanza democratica a una partecipazione politica più attiva e consapevole.
La proposta di Ruffini
In questi casi una difficoltà, come sappiamo, è riuscire a incanalare correttamente tali istanze. Un tentativo è quello proposto da Ernesto Maria Ruffini, già direttore dell’Agenzia delle Entrate, figlio di Attilio Ruffini che è stato una personalità di spicco nel panorama politico della Democrazia Cristiana. L’iniziativa proposta è quella dei comitati civici “Più Uno” che dal giugno scorso stanno nascendo in tutta Italia, per incentivare una maggiore partecipazione politica “dal basso”.
Nella serata del 9 settembre scorso, si è tenuta la presentazione di tale iniziativa presso la chiesa del Carmine, una location del movimento dei Focolari molto suggestiva nel centro di Roma (dietro palazzo Valentini). A presiedere l’incontro è stata Rita Padovano, animatrice di Europa Forum, un think tank di area cattolico democratica che da un paio d’anni organizza incontri di tale livello.
Tre parole chiave
L’intervento di Ruffini è stato asciutto ed essenziale. Da brillante oratore, ha saputo toccare le corde giuste nel numeroso pubblico presente. In tre parole: democrazia, solidarietà, partecipazione.
Chi scrive sta affrontando un libro del sociologo e politologo tedesco Claus Offe, in cui si ritrovano alcuni degli spunti proposti da Ruffini: la politica dovrebbe servire a dare speranza, altrimenti non è molto utile; occorre costruire una narrazione convincente (narrative) sul progetto che si vuole proporre ai cittadini; è necessaria una responsabilità civile, cioè la capacità di rendere conto delle proprie azioni, documentando il loro impatto sull’opinione pubblica (accountability). La preoccupazione non dovrebbe essere il consenso elettorale né il successo personale, ma riuscire a coinvolgere le persone, generare reti comuni, far sentire la bellezza di appartenere a una comunità.
Il dibattito e le prospettive
A seguire c’è stato un dibattito attento e partecipato, aperto alle esperienze dei partecipanti, provenienti dai settori più vari della società civile. Verso la conclusione dell’incontro si è tornati al punto di partenza, ovvero ai costituendi comitati civici. Bene l’appello a voler costruire un’alleanza contro i sovranismi e i populismi, per contrastare la polarizzazione politica che divide ogni giorno di più il nostro Paese.
A giudizio di chi scrive sarebbe stato opportuno – anche in quella sede – fornire qualche indicazione operativa aggiuntiva. Un “Più uno” rispetto a una dialettica che il movimento (se assumerà la forma di un movimento) andrà a definire con le forze politiche attualmente in campo. Evidenziamo questo aspetto non tanto per esprimere una critica, quanto perché l’orizzonte temporale da qui alle prossime elezioni non è particolarmente ampio.
La questione del centro
Altra questione, di non minore importanza, è la collocazione politica. Naturalmente si sta parlando del centro, che però è presidiato da tempo da alcuni soggetti politici con cui si dovrà necessariamente dialogare. Come pure, non appare impensabile sondare il terreno con quell’area riformista presente a sinistra che potrebbe condividere molte delle istanze proposte dai costituendi comitati civici.